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sabato 13 aprile 2019

(IN)SUCCESSO

>(IN)SUCCESSO<
Il trattamento Osteopatico agli sportivi mi mette sempre un po’ di agitazione. Ne vedo parecchi, avendo una palestra è un passo quasi scontato, ma sono sempre inquieto prima di iniziare; quel desiderio, spesso non espresso direttamente a parole, ma più volte sottolineato “tra le righe”, di un risultato tangibile immediato (domani ho la gara, domani devo giocare …), cozza un pochino con il mio ideale di osteopatia ed è il motivo della mia difficoltà di approccio.
Fisso l’appuntamento per venerdì; lo piazzo al mattino per primo, mi dico, sono riposato, fresco, posso lavorare bene.
Un ciclista, di quelli “veri”, da granfondo, sono consapevole che “ha bisogno” di pedalare, ogni intoppo è un ostacolo che va abbattuto e durante l’anamnesi questo concetto appare prepotente.
Ascolto.
La ragione mi suggerisce di mettere due dita d’olio sulle mani e soddisfare i barbari desideri del mio ospite: massaggio profondo, manipolazioni articolari, contatto “duro”.
Il cuore mi impone di proporre altro. Di proporre me stesso: tocco delicato, ascolto del corpo, non ostacoli da abbattere, ma insegnare all’organismo come aggirarli e trovare strade più comode.
Spiego le mie intenzioni e inizio.
Guardo, valuto, testo.
Ascolto; questa volta una grammatica che non è parole, ma messaggi più sottili, tradotti dalle mie mani sul suo corpo.
Faccio tutto ciò che credo serva; quantomeno quello che in quel momento è utile.
“Lascia un paio di giorni al tuo organismo, deve imparare a gestire i segnali che gli ho dato” la mia raccomandazione.
“Mi sembra che non hai fatto nulla, non ho sentito scrosci, non ho sentito male, sai quel male che però … dove andavo prima mi davano certi colpi”, la sua risposta.
Una settimana dopo la telefonata:
“Mah, non ci siamo tanto, sono stato due giorni un po’ strano e poi benissimo (notare, non bene, ma superlativo, benissimo, cioè mooolto di più che stare bene); ieri, però, ho fatto 150 km, e il fastidio alla spalla si è nuovamente fatto sentire; farei una risonanza”.
N.B.: stare benissimo non è rimasto in mente, o quantomeno non ha avuto peso;l’attenzione si è immediatamente spostata sul fastidio dopo 150 km con conseguente conclusione “il trattamento ha fatto poco”.
“Un bias di conferma” direbbero quelli bravi (non sono soddisfatto del trattamento perché non ho sentito scrosci o dolore, ne segue che al primo piccolo intoppo, nonostante i grandi benefici (benissimo), il trattamento risulta inefficace). Io credo che invece ci si debba confrontare anche con questi atteggiamenti e che non tutte le persone siano disposte ad intraprendere un percorso di miglioramento personale e di ricerca di salute.  prima che esclusivamente sintomatologico (che ha comunque una sua importanza, evidentemente).
Senno di poi: forse un trattamento più cruento sarebbe stato accettato meglio. Probabilmente non sarebbe servito, ma avrei dato ciò che cercava. Fidelizzazione? Forse, o forse no, la persona in questione ha già, in passato, ruotato tra diversi professionisti.
Ma del senno di poi sono piene le fosse (cit.).
Ho fatto ciò che andava fatto. Sono convinto che con un altro paio di trattamenti avrei ridato vita alle capacità di autoregolazione di un organismo minato da tanti stressor, un organismo che chiedeva (e tutt’ora chiede) a gran voce aiuto, spazio, apertura, dolcezza.
Ho perso il cliente? Non lo so; sinceramente non credo, tutto sommato l’ho incuriosito. Ho idea che tornerà, probabilmente non subito, aspetterà un acuirsi del fastidio. Nel caso, invece, decida che non sia l’ideale per lui, sono comunque contento di aver seguito ciò che sentivo di fare, nell’interesse esclusivo della persona che si è affidata, con fiducia, alle mie mani, al mio ascolto, alla mia intenzione.
Ripenso agli anni di studio e sono  grato di aver incontrato, durante il cammino, insegnanti e Maestri in grado di farmi vedere "oltre" e di mostrarmi una strada per poter diventare un Osteopata “diverso”, una persona diversa.
Grazie.
Fede.
La nostra vita è lo strumento mediante il quale compiamo esperimenti con la verità.
(Thich Nhat Hanh)
L'immagine mi ritrae e mi appartiene

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