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domenica 19 luglio 2015

La palestra che vorrei





LA PALESTRA CHE VORREI



Da quanto tempo esiste Stile Libero? Sembra un’eternità. L’apertura ufficiale, datata primo ottobre 2007, è stata solamente la posa di una pietra nell’ambito di un processo di costruzione partito circa dieci anni prima (ho iniziato a lavorare nell’ambiente palestra nel lontano 1997) e tutt’ora in svolgimento.

In questi quasi 20 anni di immersione totale nel mare del movimento umano oltre ad aver formato il mio bagaglio di esperienze, ho sempre cercato di disegnare quello che sarebbe il mio desiderio di palestra, ogni anno qualcosa in più (o in meno), ogni anno qualcosa di diverso. Posso quindi dire che Stile Libero esiste da sempre, almeno dentro di me, ma che tutto sommato non esiste ancora, almeno nella realtà, ma è un progetto in divenire, un caleidoscopio di idee vorticanti nella mia mente.

Sono consapevole di avere una formazione “multilaterale”, poliedrica, anzi, l’unione con Marina l’ha resa ancora più sfaccettata; non sono un’atleta di uno sport specifico, ho sempre fatto di tutto e di più cercando di approfondire i tanti interessi, ma rimanendo, per forza di cose, molto generale con qualche specificità, piuttosto che molto specifico con qualche generalità. Ricordo che quando mi iscrissi all’ISEF, una vita fa, era un luogo di ritrovo per sportivi; si iscriveva chi amava lo sport, si faceva tanto sport, si cercava di emergere in ogni disciplina, si intrecciava l’amore genetico e viscerale per il movimento con un nascente e sempre più intrigante interesse per le regole e le leggi anatomiche, fisiologiche, biochimiche e biomeccaniche che erano alla base di quel movimento. La mia formazione è iniziata così. Mi sono tuffato sul lavoro pieno di curiosità e con la voglia matta di mettere in pratica quella teoria che tanto mi piaceva studiare, quei libri che riempivano le mie giornate. Più c’era da mettersi in gioco, più mi piaceva giocare: corsi di gruppo, preparazione atletica, rieducazione funzionale, ginnastica correttiva, body building, più c’erano richieste e meglio era. Mi buttavo su tutto, come uno squalo sul sangue.

Poi è arrivata scienze motorie e la laurea specialistica, la parte di “attività motoria medicale”, adattata, preventiva ha aggiunto conoscenze profonde, interessi nuovi, nuovi stimoli e, soprattutto, un’idea: lavorare sulla persona. Su tante persone, ovviamente, ma su una alla volta. Ogni persona la sua domanda ed io che provo a dare la mia risposta. Entra in gioco l’euforia endorfinica del running, l’immersione profonda nelle resistenza e nell’ultra resistenza, le corse di gruppo, il NordicWalking, la corsa sensoriale, a piedi nudi o con scarpe minimali, la paleoantropologia, cercare di dare un senso, quindi, a ciò che ci ha plasmati, evolutivamente parlando, continuando a diffondere informazioni e suggerimenti che abbiano la mia firma, quella inconfondibile forgiata in tanti anni di studio. Intanto Marina continua la sua strada; una grossa fetta dei miei interessi sono anche i suoi, decidiamo, forse inconsapevolmente, di “attribuirci degli incarichi”, la sua formazione in alimentazione applicata all’attività fisica (e quindi alla vita in genere …) prende sempre più forma, nascono tante attività, dalle conferenze a tema, ai corsi di cucina; prende sempre più forma un  progetto tutto nostro. Io mi concentro sul rapporto mente-corpo-prestazione che risveglia il retaggio di tanti anni di arti marziali e inserisco così un altro tassello ed un’altra convinzione: non esiste un corpo senza mente e una mente senza un corpo; le dicotomie non fanno parte dell’uomo, quell’uomo che sono sempre più convinto di dover affrontare FaceToFace; anzi lo faccio, già da un po’, ma non ancora come vorrei. Arrivano poi Osteopatia e Olismologia, avventure che, dribblando penuria di tempo e difficoltà varie, continuo a vivere. Con loro si conferma ulteriormente la certezza che ogni individuo (etimologicamente “indivisibile”) è un’essenza unica e come tale debba essere considerata.

Questa è la storia che mi ha portato oggi a scrivere della palestra che vorrei. Questa è la mia storia, la nostra storia, il viaggio entusiasmante che ci porta a sognare un nuovo Stile Libero, un’evoluzione innanzitutto concettuale e poi di contenuto, uno Stile Libero2.0 che vada sempre più a rispecchiare ciò che siamo e ciò che abbiamo vissuto, che quotidianamente viviamo.

Non ce ne vogliate, crediamo che si debbano inseguire i sogni e provare a fare ciò che veramente di desidera. L’idea è quella di costruire qualcosa su misura per ognuno, di fare in modo che ognuno possa esprimere il proprio essere ed avere un servizio adatto alle proprie esigenze; un Laboratorio Motorio, insomma, una strada alternativa, seria e professionale.
La palestra che vorremmo !!!



 “Caro treno che passi una volta sola nella vita …  se ci tengo proprio posso farmela anche di corsa”. E così sarà …



BeNatural!!!



SL.A.

Immagini tratte da: www.dreyer-bosse.it e www.euroteknites.it 
 

venerdì 10 luglio 2015

BeNatural!! Storia di un piede





Come è nato il concetto “BeNatural”?

Tutto è partito dalla frutta a cubetti … In breve; la barzelletta del giorno era: la frutta a cubetti dentro le bustine prodotta da una famosa ditta italiana è quanto di meglio per i nostri bambini!! Chi si occupa di alimentazione deve promuovere tale prodotto perché è salutare.

Ovviamente noi ci opponemmo alla porcata e commentammo con un pensiero su facebook; ora non ricordo bene quello che venne scritto a riguardo, solo la conclusione:
Tenetevi il pattume! BeNatural!!!!

Da quel momento divenne quasi un motto: vista la nostra passione per la paleoantropologia, per uno stile di vita quanto più possibile a contatto con la natura e per il movimento con calzature “Barefoot Oriented” (minimali, tendenzialmente il modo più vicino a muoversi scalzi), l’adottare questo slogan fu cosa immediata.
Veniamo a noi … “BeNatural storia di un piede” è un titolo che racchiude un’idea, un progetto, uno stile di vita, un modo di porsi all’attività motoria.
L’uomo deve muoversi a piedi nudi? Forse sì. L’ha sempre fatto. Sarebbe, a nostro avviso, giusto continuasse a farlo. Si può correre a piedi nudi? O con qualcosa che ci si avvicini il più possibile? Anche qui la risposta è affermativa.
Proviamo a spiegarvi il perché.

Correre è facile. Uno “schema motorio di base” (compaiono moto presto, da bambini, sono i presupposti per lo sviluppo della motricità), un’azione compiuta talmente tante volte nell’arco di una vita da poter eseguire praticamente ad occhi chiusi (avete mai provato a correre ad occhi chiusi?). Ma se è così facile, allora come mai ad ogni ora del giorno (e spesso della notte) vedo orde di Zombie caracollanti che biascicano un passo avanti all’altro con lo sguardo perso nel vuoto? Forse c’è qualcosa in più, forse, ancora una volta, bisogna scavare più a fondo.

Il mondo della corsa è ormai diventato un patrimonio comune. Tutti sono podisti, tutti dispensano consigli, tutti sanno tutto, in pratica è copia fedele della realtà quotidiana (tutti presidenti del consiglio, tutti assessori comunali, tutti CT della nazionale …).
Della complessa organizzazione fatta di anatomia, fisiologia, biomeccanica, biochimica, scienza dell’allenamento, tecnica esecutiva, ecc … se ne curano in pochi, piccoli Nerd, come me, che per cercare di capire come correre nel 2015, vanno a vedere come si muoveva Ardipiteco Ramidus (Ardi per gli amici, sesso femminile per i curiosi) circa 5 milioni di anni fa.
Mi piace e mi diverte farlo, credo mi sia utile, osservo con occhio distaccato e difficilmente salto a conclusioni affrettate come i vari praticanti e non, amatori ed esperti, tapascioni e sportivi evoluti, pseudo-preparatori e negozianti senza scrupoli, guru dai mistici saperi e tuttologi dalla non comprovata fama i “RunLovers” come amo chiamarli, quelli che organizzano la fiera del sentito dire, del “ho sempre fatto così”, del “l’ho letto su internet” (per i più moderni), del “lo dice Tizio o Caio” (e giù una sfilza di nomi di podisti di fama, trattati come amici di vecchia data) oppure il buon vecchio “tu non ti preoccupare e fidati” o, meglio di tutti, aver gareggiato. Beh, quelli che gareggiano hanno un’aura di misticismo e onniscienza veramente assoluta si dispensano  segreti, consigli, preparazioni, diete, terapie fisioterapiche, massaggi, protocolli rieducativi, indirizzi utili e così via …
Questo è quanto. Non ci piace, ma ne prendiamo atto, anzi, serve per provare a dare una nostra visione del “mondo corsa”; non siamo “RunLovers” anche se amiamo molto correre, crediamo che sì, correre è facile ed immediato finché siamo bambini, ma abbiamo dimenticato come farlo da adulti e, parte di colpa di questa “amnesia” è attribuibile alle scarpe.
Quindi parliamo del piede!!
26 ossa (!) di dimensioni e struttura differente permettono la massima efficienza in quelle che sono le due funzioni evidenti del piede: funzione statica (sopporta il peso del corpo); funzione dinamica (spostamento del corpo). L’integrità del piede assicura, dunque, un buon appoggio e una buona deambulazione.
31 articolazioni (!), più di 100 legamenti e 20 muscoli (!) (tra intrinseci ed estrinseci) ottimizzano la statica e la dinamica.
Più di 7200 terminazioni nervose lo connettono, in pratica, con tutto l’organismo.
La perfetta collaborazione tra tutte queste strutture ha il fine ultimo di far funzionare al meglio questa porzione del corpo umano così forte e nel contempo delicata nell’equilibrio che la caratterizza.
L’evoluzione dell’uomo, attraverso i milioni di anni che l’hanno disegnata, ha plasmato ed integrato ogni cambiamento funzionale nello schema motorio, passando attraverso generazioni che hanno affinato l’anatomia attraverso l’utilizzo. Il piede, nella sua funzione, come già detto, prevalentemente motoria e di sostenimento del peso del corpo, assolve mirabilmente i suoi compiti anche grazie alle sue notevoli potenzialità propriocettive (Propriocezione: è definita come il senso di posizione e di movimento degli arti e del corpo che si ha indipendentemente dalla vista. La si può dividere in senso di posizione statica degli arti e in senso di movimento degli arti). La forma del piede è dunque il risultato di tutto questo lavoro evolutivo ed è in stretta relazione alla sua funzionalità biomeccanica.
I movimenti del piede avvengono su diversi assi:
asse bimalleolare: dorsiflessione e flessione plantare;
asse sagittale del piede: rotazione interna ed esterna (a livello dell’articolazione di Chopart con intervento più o meno grande dell’interlinea di Lisfranc);
asse verticale crurale: abduzione e adduzione;
Parlando in maniera più funzionale sarà necessario considerare un’associazione di questi tre movimenti per realizzare delle combinazioni degli stessi, l’inversione e l’eversione, che sono i meccanismi produttori dei traumi alla caviglia:
Inversione: flessione plantare + adduzione + supinazione (rot. int);
Eversione: dorsiflessione + abduzione + pronazione (rot. ext).
Come dimenticare, a questo punto, il ruolo neurofisiologico del piede (abbiamo parlato di 7200 terminazioni nervose): il contatto al suolo permette dunque una duplice funzione, effettore (statico o dinamico) e sensoriale. Dal punto di vista sensitivo la pianta del piede è ricca di recettori cutanei (tattili), articolari e muscolari, che rappresentano una fonte insostituibile di informazioni estero e propriocettive per il controllo dell’equilibrio e della postura. E’ significativo rammentare che l’area corticale sensitiva del piede è superiore a quella della mano, mentre per l’area motoria accade il contrario (Homunculus di Penfield e Rasmussen).





Sembrerebbe superfluo ricordare che noi camminiamo con i piedi, siamo appoggiati a terra con i piedi, ci muoviamo con i piedi ... l'importanza del piede non solo nella propria componente biomeccanica, ma anche neurosensoriale (propriocettiva ed esterocettiva) è oggi universalmente riconosciuto, tanto che è considerato, assieme agli occhi, l'ingresso primario del Sistema Tonico Posturale (l’insieme delle strutture neurofisiologiche del nostro organismo che regolano i rapporti tra il nostro corpo e il mondo che ci circonda costituisce il SISTEMA TONICO POSTURALE: ricevendo informazioni dagli occhi, dalla pelle, dai piedi, dai muscoli, dall'orecchio interno e dalla bocca è continuamente in grado di conoscere la nostra posizione e di mettere in atto le necessarie variazioni del nostro "schema corporeo", così da rispondere sia alle necessità e stimoli previsti che a quelli imprevisti). Noi siamo "nati scalzi": ogni area del piede ha un proprio ruolo per informare il sistema, ma noi spesso la "costringiamo" in spazi angusti, sacrificandone la funzionalità sull'altare della moda o per uno scorretto modo di misurarne la taglia; pensate: l’anestesia del nervo tibiale posteriore (sciatico popliteo interno), che innerva la maggior parte della superficie plantare, determina gravi alterazioni dell’equilibrio bipodalico e soprattutto di quello monopodalico (Sarrafian,1991), mentre l’appoggio podalico su superfici molto morbide, e di alcuni centimetri di spessore, equivale ad un’anestesia della pianta dei piedi (Pyykko, 1993).
Immaginate i danni che può creare un tacco:



In condizioni statiche il piede poggia al suolo, prevalentemente, sui seguenti punti: testa del primo metatarso (primo dito), testa del quinto metatarso (ultimo dito), tuberosità posteriori del calcagno (50% del carico) (tallone), come vedete dalla figura tutto è invertito; provate a pensare alle ripercussioni su tutto l’organismo; ricordiamoci che noi funzioniamo “in catena”, quello che succede ad una parte del corpo, in un modo o nell’altro, si ripercuote su tutte le strutture dello stesso.
Facciamo un passo avanti, è il caso di dirlo. L’uomo è nato per muoversi, questo non si discute.
-      La deambulazione, intesa come un complesso di movimenti che nel soggetto sano si realizza con grande economicità, al punto che è più piacevole camminare che stare fermi: Camminare è la forma di movimento più economica. Il corpo si comporta come un pendolo e ciò che caratterizza la camminata è la rollata del piede (appoggio tallone, pianta, punta)
Quando camminiamo le forze in gioco sono relativamente basse e questo fa sì che la tecnica corretta della camminata sia proprio la “rollata”.
-      La corsa: Correre è la nostra seconda marcia ed è ciò che ci ha fatto evolvere, sopravvivere e sviluppare come specie.
Invece di atterrare sul tallone, nella corsa si atterra sulla pianta del piede per poi, eventualmente (dipende molto dalla velocità di corsa) appoggiare il tallone a terra. Utilizzando il ritorno elastico del tendine d’Achille, della fascia plantare e dei legamenti, il nostro piede lavora come una potente molla. Questa elasticità riduce notevolmente la quantità di energia necessaria per la corsa
Il cambiamento di appoggio avviene perché quando corriamo le forze in gioco e i tempi di reazione con il terreno aumentano sensibilmente. Ci ritroviamo infatti a dover sopportare un peso pari a oltre due volte il nostro peso corporeo in un tempo di appoggio di circa 150 millisecondi, dimezzato rispetto a quello della camminata. Visto? Analizzando bene le cose si scopre che tornare a correre “naturale” non è poi così facile; perché? Beh, perché LA CORSA E’ TECNICA!!
Correndo in modo scorretto, l’impatto continuo di un appoggio errato, con conseguente utilizzo sbagliato della muscolatura che realmente entra in gioco nella corsa porta a un’inefficienza e ancor peggio a un altissimo rischio di infortuni (pensate che esiste il “Ginocchio del podista”, un nome specifico dato ad un infortunio dettato da una tecnica di corsa sbagliata). Come è normale, le parti anatomiche deputate alla corsa (ad esempio, i muscoli, i tendini ed i legamenti dei piedi e delle caviglie), necessitano di un uso regolare per rimanere in buona salute. In termini biomeccanici, ciò significa anche caricare ciascun componente anatomico con forze appropriate. Tuttavia, poiché il piede e la caviglia lavorano in modo specifico, possono essere facilmente oggetto di traumi se queste ‘forze’ sono esagerate, scompensate o ritardate.
Gli studi antropologici legati al cammino evolutivo dell’uomo hanno fatto sì che il mondo della corsa “Barefoot” (piede nudo) si stia inserendo sempre più profondamente nella vita podistica dei nostri tempi. Molti per moda, molti per cognizione di causa si avvicinano (giustamente, diciamo noi), al concetto di motricità naturale. Negli ultimi anni sono stati pubblicati numerosi studi riguardanti le differenze tra la deambulazione con calzatura tradizionale e “Barefoot”: la scarpa può costringere la volta plantare a modificare la meccanica deambulatoria, correre a piedi nudi favorisce l’appoggio dell’avampiede rispetto al retropiede, indossando calzature il consumo di ossigeno è maggiore, il rendimento fisiologico è maggiore con la scarpa minimale ecc…
L’uomo è nato per correre a piedi nudi. Su questo non ci piove. Non è pensabile un ritorno ad una tale motricità, quantomeno ad un ritorno completo a tale motricità, ma esiste la possibilità di introdurre un “Barefoot” con calzatura specifica (possiamo chiamarlo Barefoot Oriented) dove il meccanismo motorio si avvicina molto a quello naturale e soddisfa, parallelamente, tutte le esigenze della quotidianità moderna (terreni non naturali, protezione igienica e meccanica, coerenza sociale …).
La locomozione umana è frutto di circa 6 milioni di anni di evoluzione bipede. Durante questo lungo periodo evolutivo, il piede e il suo rapporto con il suolo hanno avuto un ruolo fondamentale e il piede è sempre stato nudo. Il corpo umano NON può essersi adattato biomeccanicamente alla scarpa ginnica, tutt’al più può esservi abituato. Nella sua evoluzione, il bipede terrestre ha passato con le scarpe solo lo 0,0001% del tempo (!!!!) (dato ottenuto rapportando il tempo evoluzionistico con quello trascorso dalla nascita della scarpa da corsa moderna). Questa assunzione rende normale il miglioramento metabolico e meccanico di cui parlavamo prima.
Senza scendere nei particolari, i risultati di moderne analisi in tal senso sono strabilianti: camminare e correre a “Barefoot Oriented” è anche in grado di interagire col sistema posturale e di creare condizioni favorenti la prevenzione degli infortuni.
La natura vince sempre. Recenti studi hanno verificato come un “ri-adattamento” al “Barefoot”, dopo anni di scarpa ginnica, sia veloce e come il corpo umano sfrutti in tempi brevissimi tutti i vantaggi di efficienza meccanica e riduzione del costo energetico.
La diffusione del fenomeno “Barefoot” trova, dunque, ampio riscontro scientifico.
Detto ciò, avete una piccola idea di come sia il mio pensiero. Quando parlo ai miei ragazzi di “sentire” con i piedi, parlo proprio di quello, di quell’ancestrale ricordo di quando eravamo “Homo” e di come una scarpa troppo pesante e “protettiva” (anche se abbiamo dimostrato che poi forse non è proprio così, forse le scarpe protettive e pesanti generano più infortuni di quelle più minimali) possa privarci di informazioni propriocettive che il piede è in grado di darci e che sono utilissime alla corsa. Vedere quegli “scarponi” con suola spessa tre dita ci incute un po’ di timore, vedere che vengono venduti a tutti, indiscriminatamente, senza analisi posturali, senza parlare di propriocezione, senza controlli dell’appoggio del piede, senza aver visto la meccanica della corsa, ancora di più. Vedere che spesso vengono vendute scarpe perché sono le uniche rimaste in negozio, invece, ci mette tristezza.
Bisogna  imparare ad ascoltarsi e a lavorare con il proprio corpo, che è il nostro primo alleato; in commercio esistono diverse possibilità per avvicinarsi al mondo Barefoot in tutta tranquillità e sicurezza, l’emozione di una corsa libera e naturale è qualcosa di incredibile …  

Grazie a chi ha avuto la forza e la pazienza di arrivare fino in fondo.

BeNatural!!

SL.A.

Bibliografia/sitografia:

IEMO - 2° anno appunti del corso di Osteopatia Generale, Prof. Ghisellini F.
ELAV Magazine - n°1 2014
IL PiEDE DELLO SPORTIVO - Luca De Ponti - ed. Correre
OSTEOPATIA l'arto inferiore - Maurice Audouard - ed. Marrapese
ATLANTE di anatomia umana – Netter – Elsevier 2012
 
Per le immagini: