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sabato 9 gennaio 2016

Eredità



EREDITA’

Cosa lasciamo a nostri figli? Quanto di noi, inteso come esseri umani, doniamo alle future generazioni?

Uno studio pubblicato su “Cell Metabolism” http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/26669700 ha destato la mia curiosità. In breve, questo lavoro, dimostra che l’obesità altera l’espressione genica degli spermatozoi predisponendo i figli al sovrappeso.
Quindi, praticamente, i figli di padri sovrappeso, avranno molta probabilità di essere sovrappeso a loro volta. Il titolo dell’articolo [1] dal quale ho preso spunto, infatti, recita: “Obesità, tale il padre … “ lasciando presupporre le nefaste conseguenze di chi, non in perfetta forma, volesse procreare. Gli autori spiegano i risultati come un possibile adattamento evolutivo, la capacità di lasciare in "Eredità", la possibilità di "ingrassare" più o meno facilmente per sopravvivere più a lungo in periodi di ipoalimentazione o carestia.
Un po' tutto diverso quando era la "vita" ad essere messa in gioco e non un ideale estetico, vero? 
Non entro nel merito dello studio in sé, mi soffermo però sulle conclusioni e, pur non condividendo il tono di apocalittica predestinazione, tutta la questione mi offre parecchi spunti su cui riflettere.
Facciamo un passo indietro.
La teoria endosimbiotica [2] descrive la situazione in cui due organismi cellulari, con dimensioni e metabolismi differenti, avrebbero trovato una convivenza vantaggiosa a fronte dello scenario primordiale di alcuni miliardi di anni fa. Anche i precursori dei mitocondri (organelli considerati le centrali energetiche delle nostre cellule) hanno probabilmente avuto un’origine endosimbiotica: primordiali organismi unicellulari per sopravvivere all’incalzante incremento “ossidante” dell’ossigeno atmosferico, avrebbero fagocitato organismi di dimensioni più modeste, dotati di proprietà fotosintetiche e quindi capaci di neutralizzare questi effetti negativi. Tali piccoli procarioti, intrappolati e non digeriti, si sarebbero rivelati utilissimi per l’evoluzione della moderna cellula eucariotica.
Quello che siamo oggi è, dunque, il risultato di miliardi di anni di evoluzione.
Un processo lento e graduale ci ha resi quello che siamo e, con buona probabilità, stiamo ancora cambiando. L’analisi del genoma umano dimostra come i geni del nostro patrimonio siano sostanzialmente uguali a quelli dei nostri predecessori di 1 milione di anni fa, tanto da far ipotizzare un arresto o, comunque, un rallentamento della selezione naturale dalla fine del paleolitico (2,5 milioni fino a circa 10 mila anni fa) ad oggi. La selezione naturale non ha mai smesso di agire, ma ha avuto sulla biologia umana solo effetti locali e limitati (basti pensare quante persone oggi in vita grazie alla penicillina avrebbero potuto morire per la polmonite se avessero avuto geni che aumentano la probabilità di contrarla). Se oggi prendessimo una ragazza Cro-Magnon del paleolitico superiore e la trasportassimo in una nostra famiglia moderna, sarebbe simile ad una sua coetanea contemporanea, eccetto per alcune piccole probabili differenze nel suo sistema immunitario e nel suo metabolismo. Tutti noi, compreso chi si trova in un qualunque remoto angolo del pianeta, condividiamo un ultimo antenato comune che risale a meno di 200 mila anni fa, quindi le diverse popolazioni sono pressoché identiche dal punto di vista genetico, anatomico e fisiologico. Indipendentemente da quanto la selezione abbia agito a partire dal paleolitico, nelle ultime migliaia e centinaia di anni, l’uomo, però, si è evoluto in altri modi significativi. Una forza potentissima è oggi “l’evoluzione culturale”, che ha modificato le interazioni tra i geni e l’ambiente, alterando il secondo, anziché i primi [3].
Per quanto, dunque, nelle ultime migliaia di anni i geni umani non siano cambiati molto, le variazioni culturali hanno cambiato l’ambiente in modo estremo; alla base delle malattie di oggi c’è un profondo conflitto tra il nostro genoma e il mondo in cui ci troviamo a vivere. Questo è dovuto ad un fenomeno definito “discordanza evolutiva”. In breve, quando l’ambiente in cui un essere vivente si trova cambia a velocità superiore rispetto alle capacità del DNA di adeguarsi ai mutamenti, l’organismo inizia a sviluppare un disadattamento che si manifesta in una crescita dell’incidenza di malattie [4].
Quindi, noi uomini moderni, siamo uomini primitivi catapultati in un mondo decisamente diverso da quell’ecosistema che ci vedeva protagonisti 1 milione di anni fa, con tutte le conseguenze che da ciò ne deriva. Noi cacciatori che partivamo all’alba e ci muovevamo correndo o camminando per la maggior parte della giornata ci troviamo ad affrontare una vita probabilmente piuttosto stimolante da altri punti di vista, ma che ci priva di un selvaggio richiamo nostro per definizione.
Una malattia determinata dalla “discordanza evolutiva” è senza dubbio il diabete di tipo 2. Secondo questo “mismatch evolutivo”, mangiamo troppo zucchero (ma probabilmente mangiamo troppo in generale) rispetto a come il nostro antenato Homo era abituato (spesso ci cibiamo molto, ma ci nutriamo poco ... tanta energia, poco nutrimento), in più ci muoviamo molto meno (e quando ci muoviamo lo facciamo in maniera compulsiva, esagerata); ecco come una genetica uguale, si trova ad affrontare un ambiente diverso. Questo è stato brillantemente spiegato nel 1962 dal genetista Neel, con l’ipotesi del genotipo di risparmio (thrifty gene hypothesis). Secondo la sua idea i geni che predispongono al diabete (geni di risparmio) sicuramente vantaggiosi nell’evoluzione umana, sarebbero diventati deleteri nello scontro con il progresso delle società moderne. I geni di risparmio consentono all’individuo di stoccare e processare efficacemente gli alimenti, sottoforma di grasso, durante i periodi di abbondanza, per proteggersi da quelli di carestia o di digiuno prolungato [2]. Ecco quindi che il moderno “cacciatore – raccoglitore”, nella sua battaglia quotidiana contro le corsie del supermercato o contro gli scomparti del frigorifero, prepara le sue scorte energetiche per una carestia che mai arriverà. La conseguenza è logicamente la diffusione di quelle patologie cronico-degenerative da iper-alimentazione, quali l’obesità o il diabete di tipo 2 (alcuni studiosi hanno coniato il termine “Diabesità” per evidenziare il legame tra queste due problematiche).
Torniamo all’eredità del titolo.
Sentite quel richiamo ancestrale?
Non avete voglia ogni tanto di correre festosi sotto un acquazzone?
Vi emozionate guardando un panorama o appoggiando le vostre mani su un tronco di un albero enorme?
Certo che vi succede.
E’ la vostra eredità, è dentro di voi, di noi.
Come abbiamo visto non è solo il nostro modo di essere, ma anche come ci comportiamo che può fare la differenza. Non è solo questione di buoni esempi, ma anche di espressione genica, di vero e proprio lascito. Doniamo una parte di noi nel vero e proprio senso della parola; la partita, ovviamente, rimane sempre aperta, ma la base di partenza cambia, e non è poco. Il celebre fisiologo Astrand disse: “chiunque voglia vincere una medaglia olimpica deve sapersi scegliere bene i genitori”; il ragionamento che voleva evidenziare l’importanza di una buona predisposizione genetica, può essere ruotato e diventare “se volete fare in modo che i vostri figli possano sfruttare al meglio le loro potenzialità, comportatevi bene da genitori”.
Se non volete farlo per voi, fatelo almeno per loro.

Il principio fondamentale della saggezza è mantenere l’ordine invece di correggere il disordine. Curare una malattia dopo la sua manifestazione è come scavare un pozzo quando si ha sete, o forgiare armi a guerra già iniziata.
NEI JING, II secolo a.C.
SL.A

Bibliografia e letture consigliate:

[1] Rivista Le Scienze – Gennaio 2016

[2]: Biologia cellulare nell’esercizio fisico – Luzi L. – Springer ed. – 2010

[3]: La storia del corpo umano – Lieberman D.E. – Codice ed. – 2013

[4]: Mangia che ti passa – Ongaro F. – Piemme ed. – 2011



Le immagini sono tratte da:


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