Mi piace correre. Lo faccio da, beh, possiamo dire da
sempre, da quando ho iniziato i primi timidi passi, poco prima di compiere un
anno, cercando in quei rapidi e scoordinati appoggi l’aumento di velocità, un
po’ per necessità d’equilibrio, un po’ per raggiungere le braccia tese del
genitore di turno, un po’ perché la corsa è parte di me. In assoluto, però, perché
considero la corsa come una sorta di liberazione, una fuga … La prima immagine che di solito è evocata
dalla parola fuga corrisponde
all’atto di scappare di fronte a qualcosa o a qualcuno, mentre il suo
significato elementare ed originario, ricostruibile attraverso l’etimologia,
esprime piuttosto l’idea di una deviazione da un percorso lineare compreso tra
due punti, un “allontanarsi da”; non so voi, ma quella sensazione di
assoluta libertà che si prova correndo mi piace assimilarla proprio a questo,
allontanarsi da un percorso già disegnato e crearne uno proprio, allontanarsi
da schemi e progetti che la società ha stilato per noi ed intraprendere una
propria via; in fondo avere l'idea di seguire un percorso che da (A) mi conduca a (B) mi stufa già prima di intraprenderlo, il viaggio mi piace se decido io come percorrerlo, come viverlo: mi ha sempre intrigato questa frase, alla quale non son riuscito a
dare un autore se non un generico “Anonimo”, ma forse è anche giusto così: “Seguire
il sentiero percorso dai grandi uomini è già un onore per pochi privilegiati, ma aprire una propria strada, andando oltre i propri limiti, è un tributo alla
grandezza che pochi uomini vedranno”. Ecco la mia corsa, un tentativo fisico, emozionale, globale, olistico, definiamolo così, per trovare o ritrovare il piacere della ricerca, del viaggio, del disegnare un proprio percorso.
E non è forse l’allontanarsi da una condizione di vita
particolare che spinge il “Corridore Africano” del nostro titolo a diventare “Leggenda”?
Non è forse un desiderio di rivalsa sul destino a permettergli di creare quello
che è il suo “Mito” ?
Chi è il corridore africano?
Duplice interpretazione.
Da un lato il “Corridore Africano”
siamo noi, Homo Sapiens che, anche grazie alla corsa, siamo giunti attraverso
milioni di anni di storia fino a qui, fino alle scarpe iperamortizzate, fino ai
gps, ma anche fino ai piedi nudi, fino all'istinto.
Dall’altro il “Corridore Africano” è il mito di tutti gli
amanti della corsa di lunga lena, di durata. Colui che è misteriosamente
imbattibile, colui che detiene tutti i record, colui al quale tutti,
segretamente, aspiriamo.
La paleoantropologia è una scienza estremamente
affascinante. Parliamoci chiaro, l’uomo è nato in Africa, su questo c’è poco da
dibattere, quindi la “Leggenda del Corridore Africano” è la nostra storia …
Siamo a circa 4,5 milioni di anni fa, i più antichi
ominidi noti trascorrono la loro vita in una terra che rapidamente sta
cambiando e, adeguandosi a tali cambiamenti, alcune modifiche avvengono anche
nei loro organismi; siamo fortunati, questi nostri predecessori ci lasciano
qualche piccolo segno, frammenti di scheletro, in particolare della scatola
cranica. Questi sono molto affini con quelli dello scimpanzé, ovviamente, ma
indicano che molto probabilmente il proprietario (Ardipithecus Ramidus, Ardi
per gli amici, una "runner" del Pliocene) aveva il foro occipitale (apertura attraverso la quale il midollo
spinale esce dal cranio) in posizione più avanzata rispetto alle scimmie
antropomorfe. Se così fosse la postura di A. Ramidus sarebbe inequivocabilmente
eretta.
Inizialmente gli studi sugli antichi ominidi erano
focalizzati sul fatto che fosse il “potere della mente” a guidarci al disopra
delle scimmie, ma l’analisi accurata dei reperti fossili ha invece dimostrato
in maniera evidente che l’adozione di una forma di postura eretta, con
locomozione bipede fu il mutamento comportamentale/anatomico che diede l’avvio
alla nostra linea di discendenza. Le conseguenze di questo comportamento,
soprattutto la liberazione delle mani dalle necessità locomotorie, aprono
orizzonti interessantissimi e lo candidano a tutti gli effetti a “chiave di
volta” del processo evolutivo.
Quindi 4 milioni di anni fa eravamo già eretti e, senza
sapere con che grado di efficienza ci muovessimo, deambulavamo sugli arti
inferiori.
Non entro nello specifico dei vantaggi della postura
eretta e dell’andatura bipede (importante citare la migliore capacità di
termoregolazione), ma risulta importante sottolineare come questa primitiva
forma di bipedismo si affermò, dunque, nella nostra linea evolutiva più di
quattro milioni di anni or sono, dopo di che non vediamo praticamente alcun
cambiamento per più di metà della storia ominide successiva.
Facciamo un salto … siamo sportivi, no?
Eccoci catapultati a circa 1,9 milioni di anni fa. Nuovi
reperti fossili regalano qualcosa di molto diverso da tutto quello trovato fino
ad allora. Un individuo molto più simile nelle forme all’uomo moderno. Homo
Ergaster, un antico ominide evidentemente adattato, dal punto di vista fisico,
a vivere nella savana aperta, ed emancipato dall’ambiente ai margini della
foresta in cui i suoi progenitori avevano prosperato. Il primo ad utilizzare il
fuoco (anche se non sistematicamente, diciamo che se lo trovava acceso, sapeva
cosa farne) ed il primo vero “mangiatore di carne” (confermato da studi
sull’usura dentaria), altra tappa importante della storia evolutiva umana.
Ed è più o meno qui che l’uomo inizia a correre. Una
decina di anni fa, sulla rivista Nature, uno studio dall’inequivocabile titolo
“Born To Run” (Nati per Correre) di un biologo evoluzionista e di un
antropologo, fissa dei paletti importanti su come l’evoluzione anatomica
dell’uomo sia figlia della sua capacità di correre, o di adattarsi alla corsa.
In pratica, siamo così perché abbiamo iniziato a correre e la cosa “ci è
piaciuta”. La velocità (rispetto ad altri animali) non è mai stata la nostra
arma migliore, ma tenere un ritmo ragionevole per lungo tempo è stata la
caratteristica vincente. La corsa di resistenza, a quanto pare, è parte
integrante del nostro essere uomo, ha profonde radici evolutive. E’ parte di
noi. Di noi “Corridori Africani”. Il movimento è parte integrante della nostra
evoluzione. Rinunciare a muoversi è rinunciare a noi stessi.
Vedete come tutto torna? Anche per la storia dell’uomo la
corsa è un “allontanarsi da” è una fuga da qualcosa che sembrava scritto e che
invece siamo stati in grado di modificare.
La semplicità del gesto, nella sua complessità, è un
ancestrale richiamo a quella selvaggia bellezza che ammiriamo durante le
competizioni di atletica, la “Leggenda del Corridore Africano” è la nostra
storia, la storia di un uomo (Homo) che ha saputo costruirsi prima e
reinventarsi poi grazie al movimento fisico. La mia idea di corsa si richiama a
questo nostro inequivocabile retaggio, a questo nostro innegabile passaporto, a
quel BeNatural che più che un monito è un urlo liberatorio, un ritorno all’origine.
SL.A.
Bibliografia:
Il Cammino
dell’uomo - Ian Tattersall - Ed. Bollati Boringhieri 2011
La Storia del corpo umano, Evoluzione, Salute, Malattie - Daniel E. Lieberman - Ed. Codice 2014
Endurance
Running and Evolution of Homo - NATURE |VOL 432 | 18 NOVEMBER 2004 –
Bramble-Lieberman
L'immagine dei bambini è presa da www.nikonclub.it
L'immagine di Ardi è presa da www.sciencemag.org
L'immagine di Homo Ergaster è presa da www.flickr.com
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