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venerdì 14 agosto 2015

La Leggenda del Corridore Africano





LA LEGGENDA DEL CORRIDORE AFRICANO
  
Mi piace correre. Lo faccio da, beh, possiamo dire da sempre, da quando ho iniziato i primi timidi passi, poco prima di compiere un anno, cercando in quei rapidi e scoordinati appoggi l’aumento di velocità, un po’ per necessità d’equilibrio, un po’ per raggiungere le braccia tese del genitore di turno, un po’ perché la corsa è parte di me. In assoluto, però, perché considero la corsa come una sorta di liberazione, una fuga … La prima immagine che di solito è evocata dalla parola fuga corrisponde all’atto di scappare di fronte a qualcosa o a qualcuno, mentre il suo significato elementare ed originario, ricostruibile attraverso l’etimologia, esprime piuttosto l’idea di una deviazione da un percorso lineare compreso tra due punti, un “allontanarsi da”; non so voi, ma quella sensazione di assoluta libertà che si prova correndo mi piace assimilarla proprio a questo, allontanarsi da un percorso già disegnato e crearne uno proprio, allontanarsi da schemi e progetti che la società ha stilato per noi ed intraprendere una propria via; in fondo avere l'idea di seguire un percorso che da (A) mi conduca a (B) mi stufa già prima di intraprenderlo, il viaggio mi piace se decido io come percorrerlo, come viverlo: mi ha sempre intrigato questa frase, alla quale non son riuscito a dare un autore se non un generico “Anonimo”, ma forse è anche giusto così: “Seguire il sentiero percorso dai grandi uomini è già un onore per pochi privilegiati, ma aprire una propria strada, andando oltre i propri limiti, è un tributo alla grandezza che pochi uomini vedranno”. Ecco la mia corsa, un tentativo fisico, emozionale, globale, olistico, definiamolo così, per trovare o ritrovare il piacere della ricerca, del viaggio, del disegnare un proprio percorso.
E non è forse l’allontanarsi da una condizione di vita particolare che spinge il “Corridore Africano” del nostro titolo a diventare “Leggenda”? 
Non è forse un desiderio di rivalsa sul destino a permettergli di creare quello che è il suo “Mito” ?

Chi è il corridore africano?
Duplice interpretazione. 
Da un lato il “Corridore Africano” siamo noi, Homo Sapiens che, anche grazie alla corsa, siamo giunti attraverso milioni di anni di storia fino a qui, fino alle scarpe iperamortizzate, fino ai gps, ma anche fino ai piedi nudi, fino all'istinto.
Dall’altro il “Corridore Africano” è il mito di tutti gli amanti della corsa di lunga lena, di durata. Colui che è misteriosamente imbattibile, colui che detiene tutti i record, colui al quale tutti, segretamente, aspiriamo.
La paleoantropologia è una scienza estremamente affascinante. Parliamoci chiaro, l’uomo è nato in Africa, su questo c’è poco da dibattere, quindi la “Leggenda del Corridore Africano” è la nostra storia …
Siamo a circa 4,5 milioni di anni fa, i più antichi ominidi noti trascorrono la loro vita in una terra che rapidamente sta cambiando e, adeguandosi a tali cambiamenti, alcune modifiche avvengono anche nei loro organismi; siamo fortunati, questi nostri predecessori ci lasciano qualche piccolo segno, frammenti di scheletro, in particolare della scatola cranica. Questi sono molto affini con quelli dello scimpanzé, ovviamente, ma indicano che molto probabilmente il proprietario (Ardipithecus Ramidus, Ardi per gli amici, una "runner" del Pliocene) aveva il foro occipitale  (apertura attraverso la quale il midollo spinale esce dal cranio) in posizione più avanzata rispetto alle scimmie antropomorfe. Se così fosse la postura di A. Ramidus sarebbe inequivocabilmente eretta.



Inizialmente gli studi sugli antichi ominidi erano focalizzati sul fatto che fosse il “potere della mente” a guidarci al disopra delle scimmie, ma l’analisi accurata dei reperti fossili ha invece dimostrato in maniera evidente che l’adozione di una forma di postura eretta, con locomozione bipede fu il mutamento comportamentale/anatomico che diede l’avvio alla nostra linea di discendenza. Le conseguenze di questo comportamento, soprattutto la liberazione delle mani dalle necessità locomotorie, aprono orizzonti interessantissimi e lo candidano a tutti gli effetti a “chiave di volta” del processo evolutivo.
Quindi 4 milioni di anni fa eravamo già eretti e, senza sapere con che grado di efficienza ci muovessimo, deambulavamo sugli arti inferiori.
Non entro nello specifico dei vantaggi della postura eretta e dell’andatura bipede (importante citare la migliore capacità di termoregolazione), ma risulta importante sottolineare come questa primitiva forma di bipedismo si affermò, dunque, nella nostra linea evolutiva più di quattro milioni di anni or sono, dopo di che non vediamo praticamente alcun cambiamento per più di metà della storia ominide successiva.
Facciamo un salto … siamo sportivi, no?
Eccoci catapultati a circa 1,9 milioni di anni fa. Nuovi reperti fossili regalano qualcosa di molto diverso da tutto quello trovato fino ad allora. Un individuo molto più simile nelle forme all’uomo moderno. Homo Ergaster, un antico ominide evidentemente adattato, dal punto di vista fisico, a vivere nella savana aperta, ed emancipato dall’ambiente ai margini della foresta in cui i suoi progenitori avevano prosperato. Il primo ad utilizzare il fuoco (anche se non sistematicamente, diciamo che se lo trovava acceso, sapeva cosa farne) ed il primo vero “mangiatore di carne” (confermato da studi sull’usura dentaria), altra tappa importante della storia evolutiva umana. 


Ed è più o meno qui che l’uomo inizia a correre. Una decina di anni fa, sulla rivista Nature, uno studio dall’inequivocabile titolo “Born To Run” (Nati per Correre) di un biologo evoluzionista e di un antropologo, fissa dei paletti importanti su come l’evoluzione anatomica dell’uomo sia figlia della sua capacità di correre, o di adattarsi alla corsa. In pratica, siamo così perché abbiamo iniziato a correre e la cosa “ci è piaciuta”. La velocità (rispetto ad altri animali) non è mai stata la nostra arma migliore, ma tenere un ritmo ragionevole per lungo tempo è stata la caratteristica vincente. La corsa di resistenza, a quanto pare, è parte integrante del nostro essere uomo, ha profonde radici evolutive. E’ parte di noi. Di noi “Corridori Africani”. Il movimento è parte integrante della nostra evoluzione. Rinunciare a muoversi è rinunciare a noi stessi.
Vedete come tutto torna? Anche per la storia dell’uomo la corsa è un “allontanarsi da” è una fuga da qualcosa che sembrava scritto e che invece siamo stati in grado di modificare.
La semplicità del gesto, nella sua complessità, è un ancestrale richiamo a quella selvaggia bellezza che ammiriamo durante le competizioni di atletica, la “Leggenda del Corridore Africano” è la nostra storia, la storia di un uomo (Homo) che ha saputo costruirsi prima e reinventarsi poi grazie al movimento fisico. La mia idea di corsa si richiama a questo nostro inequivocabile retaggio, a questo nostro innegabile passaporto, a quel BeNatural che più che un monito è un urlo liberatorio, un ritorno all’origine.

SL.A.

Bibliografia:
Il Cammino dell’uomo - Ian Tattersall - Ed. Bollati Boringhieri 2011
La Storia del corpo umano, Evoluzione, Salute, Malattie - Daniel E. Lieberman - Ed. Codice 2014
Endurance Running and Evolution of Homo - NATURE |VOL 432 | 18 NOVEMBER 2004 – Bramble-Lieberman

L'immagine dei bambini è presa da www.nikonclub.it 
L'immagine di Ardi è presa da www.sciencemag.org 
L'immagine di Homo Ergaster è presa da www.flickr.com 


 

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