ALLENAMENTO, SOVRALLENAMENTO, COMPULSIONE ALL’ALLENAMENTO ED
ALTRE AMENITA’
Guardo con sempre più orrore la deriva dei social network
che, da “aggregatori sociali” e quindi già sistemi devastanti l’umanità dell’uomo
(passatemi il gioco di parole), si trasformano con velocità supersonica in
potenti mezzi di plagio psicologico, terrazze di immediata diffusione di
messaggi, a volte subliminali, spesso diretti, atti a disinformare creando l’illusione
d’essere informativi. Terribile il doppio ed inquietante gioco manipolativo,
devastante il risultato a livello cerebrale, profonda la fossa che viene
scavata dalle nostre, stesse, colpevoli mani.
Oggi per esempio, in un paio di minuti di social-navigazione,
mi sono imbattuto in due vignette/messaggio piuttosto inquietanti, a parer mio:
si parlava di allenamento e sport in modo diretto, imperativo, colori
sgargianti, simboli inequivocabili e messaggi che non ammettono repliche.
Non è un mistero di come segua con particolare ardore, un
po’ per passione, un po’ per lavoro/studio, le vicissitudini legate alla
dicotomia uomo/benessere, in maniera particolare per ciò che si rivolge alla
sfera educativa e sportiva, quindi quando leggo stupidaggini come: “non devi avere
piacere o voglia di allenarti, devi averne bisogno”, oppure “fai che lo sport
diventi la tua droga”, e cose del genere, rimango un po’ perplesso, incomincio
a riflettere ed elucubrare, mi guardo intorno, frugo nella mia memoria e nella
mia esperienza, scavo profondamente in quello che è il mio vissuto, sia
personale che come professionista del movimento, cerco di trovare un motivo allo
sfacelo e sconquasso mentale di chi progetta campagne del genere, di chi cerca
di inculcare finti “stili di vita” che di sensato ed utile non hanno nulla.
Ammettiamolo, anzi, devo ammetterlo, non sono una persona
facile; sono piuttosto diretto, discretamente polemico, intelligente quanto
basta per detestare la stupidità, mi piace informarmi e confrontarmi su ciò che
sono informato, soffro particolarmente le persone superficiali, quelle sempre
piene di scuse o alibi, quelle che non si impegnano per ottenere qualcosa,
quelle che pensano che l’obiettivo sia comunque solo ottenere un risultato, per
meriti propri e/o divini, quando invece per me l’obiettivo deve essere lavorare
per un risultato, indipendentemente dall’ottenerlo o meno; capite bene che l’imperversare
di slogan come quelli succitati è l’antitesi del mio essere. E quindi devo in
qualche maniera provare a contrastarlo.
Oggi un' amica, una persona che sta affrontando una
sua personalissima sfida (e a pare mio la sta affrontando con il giusto
cipiglio, la giusta grinta, le giuste palle) ha raccontato una storia che lei
ha osservato da esterna, ma che riguarda comunque la sua battaglia; non entro
nel merito perché sarebbe una violazione di intimità, diciamo che in generale
il discorso è finito sull’allenamento adeguato per preparare determinate
competizioni di resistenza prolungata, su come vengono preparate o non
preparate a dovere, sui risultati nefasti, proprio in termine di benessere,
salute, non cronometrici, di quest’ultimo caso.
L’ominazione, il diventare uomo, sappiamo che è il frutto
della miscela di diversi fattori: la stazione eretta, il bipedismo, la
liberazione delle mani, la cerebralizzazione: con il cervello si inizia a “comprendere”
(lo spazio e i propri simili), con le mani si “prende”, per costruire, per
lanciare, per colpire, per stringere, con gli arti inferiori si raggiunge per
entrare in relazione (amichevole od offensiva), si scappa. L’uomo nasce con un
primo compito da eseguire, quello di sopravvivere il più a lungo possibile e di
riprodursi per far si che la specie continui. L’evoluzione plasma poco per
volta, ma ad una incredibile velocità quello che siamo adesso, ma con un
retaggio incancellabile: il movimento, la competizione per il cibo, per il
dominio su un determinato spazio, per procreare. Non esisteva lo sport, si
camminava e si correva non per libera scelta, ma per necessità. Queste
prerogative, solide fondamenta, ci hanno creato, costruito a partire da una
evidente debolezza fisica che ha permesso lo sprigionarsi di incredibili forze
intellettuali, sino al livello odierno. L’Homo diventa Sapiens a tal punto da “inventare”
anche i propri limiti.
Con lo sport si esce dagli ambiti e dai confini che ci
siamo costruiti. Si studia per capire come alimentarsi per rendere di più, si
studia per capire come rendere più efficaci i movimenti, più economici, più
redditizi. Il tempo libero permette la nascita dell’allenamento. L’uomo con lo
sport scopre che se si allena può migliorare il rendimento: esercitarsi
continuativamente, ma saper far seguire alla fatica il riposo. Fare prima di
più, poi in maniera più impegnativa, poi in maniera più precisa. Arrivare a
svolgere in maniera sempre più perfetta voluminosi carichi di lavoro specifico
sempre più intenso. Questo è il divenire, una folle lucidità che accompagna la
vita dell’atleta. L’atleta fa questo giocando, un gioco serio dove mette tutto
se stesso, nell’allenamento ed in gara.
Noi non siamo atleti, quantomeno nel significato
professionale del termine, siamo sportivi e lo sport è soprattutto fair play, quindi soprattutto volersi
bene, non può essere considerato una droga che per definizione è un qualcosa
che agisce sullo stato di coscienza, altera la percezione, condiziona i comportamenti, crea una dipendenza fisica e/o psichica, ma è un’estensione
del nostro modo di vivere. Certo, folli, ma lucidi, stanchi, ma felici, ultimi,
ma soddisfatti, ma sempre e comunque consapevoli di ciò che siamo.
Cerco di spiegarmi: vedo il processo di allenamento come
un qualcosa di veramente formativo, di veramente educativo, ci credo proprio,
lo vedo come un qualcosa che alberga in noi, nell’uomo, più o meno sopito, ma
che può essere un linguaggio di comunicazione universale, un po’ come la musica
o il disegno, per intenderci; credo che possa essere una strada (una delle
tante) per renderci migliori come persone.
Non sono le gare o le competizioni che “mettono alla
prova” gli individui, ma il processo di allenamento che permette la
partecipazione alle stesse che dimostra che tipo di persone siamo; l’atteggiamento
di fronte ad un impegno costante e continuativo come l’allenamento è ciò che fa
la differenza; non è la meta, ma il viaggio stesso che rende liberi, che rende
vivi, che insegna, che permette di imparare. Ed è talmente bello il fatto di
inserirlo a piacere nel nostro modo di vivere che non può essere considerato un
bisogno (il bisogno richiama comunque alla dipendenza da qualcosa), diventa una
parte modulabile del nostro essere, una parte a volte importante, a volte meno,
ma sempre un qualcosa di gradevole, amabile, soddisfacente, un infuocato
ossimoro, in fondo proprio come la vita stessa.
Lee Jun Fan, meglio conosciuto come Bruce
Lee, filosofo, attore e artista marziale disse: “L’allenamento non opera
su un oggetto, ma sullo spirito e sulle emozioni di un essere umano. Per agire
su sfere così delicate occorrono intelligenza e discernimento”. Non amo le
definizioni di allenamento, ma questa spiegazione di quanto complesso sia il
processo che ne sta alla base mi trova terribilmente d’accordo; possiamo
riassumerlo come una sequenza di risposte, le più personali possibili, ad una
sequenza di domande. Domande che scavano in tutta l’unicità olistica dell’uomo.
Non è un bisogno, non è una droga, è semplicemente una parte di ciò che siamo e,
quindi, utile per migliorarci, un processo di crescita.
La nascita di una problematica come il sovrallenamento od
overtraining la dice lunga su come, nel tempo, questo processo è stato mal
interpretato: troppo allenamento, troppo allenamento fatto male, poco piacere
nell’allenarsi, dipendenza dall’allenamento; una serie di aberrazioni nate
dalla rincorsa del risultato a tutti i costi, da una forzatura di ciò che la
natura e l’evoluzione ci hanno insegnato, da un superficiale studio dei testi
scientifici riguardanti l’allenamento, dal considerare l’allenamento un mero processo
scientifico, quando è invece un processo creativo che richiede fantasia ed entusiasmo
oltre che conoscenza.
Non ci servono slogan e messaggi patinati, facilmente
vendibili e poco funzionali, l’unica cosa veramente utile è la passione e la
voglia di vivere, il cercare di volersi bene senza che l’opinione altrui possa
condizionarci, l’aver voglia di impegnarsi in un qualcosa che piace per essere
fieri di ciò che si ha costruito, costruire una sinergia di emozioni che non
abbracci solo la sfera fisica, ma che coinvolga l’intero dell’uomo, corpo,
mente, anima. E noi “allenatori”? Beh, noi dobbiamo impegnarci al massimo per
diffondere questi concetti e, soprattutto, dobbiamo dare le basi per crescere e
le ali per volare …
Buon allenamento.
SL.A.
Bibliografia e sitografia:
Allenamento Sportivo - Bellotti e Matteucci - Ed. Utet - 2004
Lo Sviluppo Atletico - Vern Gambetta - Ed. CalzettiMariucci - 2013
www.mymovies.it
L'immagine è presa da: maldimaldive.blogspot.com
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