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domenica 16 agosto 2015

Allenamento, Sovrallenamento, Compulsione all'allenamento ed altre Amenità






ALLENAMENTO, SOVRALLENAMENTO, COMPULSIONE ALL’ALLENAMENTO ED ALTRE AMENITA’

Guardo con sempre più orrore la deriva dei social network che, da “aggregatori sociali” e quindi già sistemi devastanti l’umanità dell’uomo (passatemi il gioco di parole), si trasformano con velocità supersonica in potenti mezzi di plagio psicologico, terrazze di immediata diffusione di messaggi, a volte subliminali, spesso diretti, atti a disinformare creando l’illusione d’essere informativi. Terribile il doppio ed inquietante gioco manipolativo, devastante il risultato a livello cerebrale, profonda la fossa che viene scavata dalle nostre, stesse, colpevoli mani.
Oggi per esempio, in un paio di minuti di social-navigazione, mi sono imbattuto in due vignette/messaggio piuttosto inquietanti, a parer mio: si parlava di allenamento e sport in modo diretto, imperativo, colori sgargianti, simboli inequivocabili e messaggi che non ammettono repliche.
Non è un mistero di come segua con particolare ardore, un po’ per passione, un po’ per lavoro/studio, le vicissitudini legate alla dicotomia uomo/benessere, in maniera particolare per ciò che si rivolge alla sfera educativa e sportiva, quindi quando leggo stupidaggini come: “non devi avere piacere o voglia di allenarti, devi averne bisogno”, oppure “fai che lo sport diventi la tua droga”, e cose del genere, rimango un po’ perplesso, incomincio a riflettere ed elucubrare, mi guardo intorno, frugo nella mia memoria e nella mia esperienza, scavo profondamente in quello che è il mio vissuto, sia personale che come professionista del movimento, cerco di trovare un motivo allo sfacelo e sconquasso mentale di chi progetta campagne del genere, di chi cerca di inculcare finti “stili di vita” che di sensato ed utile non hanno nulla.
Ammettiamolo, anzi, devo ammetterlo, non sono una persona facile; sono piuttosto diretto, discretamente polemico, intelligente quanto basta per detestare la stupidità, mi piace informarmi e confrontarmi su ciò che sono informato, soffro particolarmente le persone superficiali, quelle sempre piene di scuse o alibi, quelle che non si impegnano per ottenere qualcosa, quelle che pensano che l’obiettivo sia comunque solo ottenere un risultato, per meriti propri e/o divini, quando invece per me l’obiettivo deve essere lavorare per un risultato, indipendentemente dall’ottenerlo o meno; capite bene che l’imperversare di slogan come quelli succitati è l’antitesi del mio essere. E quindi devo in qualche maniera provare a contrastarlo.
Oggi un' amica, una persona che sta affrontando una sua personalissima sfida (e a pare mio la sta affrontando con il giusto cipiglio, la giusta grinta, le giuste palle) ha raccontato una storia che lei ha osservato da esterna, ma che riguarda comunque la sua battaglia; non entro nel merito perché sarebbe una violazione di intimità, diciamo che in generale il discorso è finito sull’allenamento adeguato per preparare determinate competizioni di resistenza prolungata, su come vengono preparate o non preparate a dovere, sui risultati nefasti, proprio in termine di benessere, salute, non cronometrici, di quest’ultimo caso.
L’ominazione, il diventare uomo, sappiamo che è il frutto della miscela di diversi fattori: la stazione eretta, il bipedismo, la liberazione delle mani, la cerebralizzazione: con il cervello si inizia a “comprendere” (lo spazio e i propri simili), con le mani si “prende”, per costruire, per lanciare, per colpire, per stringere,  con gli arti inferiori si raggiunge per entrare in relazione (amichevole od offensiva), si scappa. L’uomo nasce con un primo compito da eseguire, quello di sopravvivere il più a lungo possibile e di riprodursi per far si che la specie continui. L’evoluzione plasma poco per volta, ma ad una incredibile velocità quello che siamo adesso, ma con un retaggio incancellabile: il movimento, la competizione per il cibo, per il dominio su un determinato spazio, per procreare. Non esisteva lo sport, si camminava e si correva non per libera scelta, ma per necessità. Queste prerogative, solide fondamenta, ci hanno creato, costruito a partire da una evidente debolezza fisica che ha permesso lo sprigionarsi di incredibili forze intellettuali, sino al livello odierno. L’Homo diventa Sapiens a tal punto da “inventare” anche i propri limiti.
Con lo sport si esce dagli ambiti e dai confini che ci siamo costruiti. Si studia per capire come alimentarsi per rendere di più, si studia per capire come rendere più efficaci i movimenti, più economici, più redditizi. Il tempo libero permette la nascita dell’allenamento. L’uomo con lo sport scopre che se si allena può migliorare il rendimento: esercitarsi continuativamente, ma saper far seguire alla fatica il riposo. Fare prima di più, poi in maniera più impegnativa, poi in maniera più precisa. Arrivare a svolgere in maniera sempre più perfetta voluminosi carichi di lavoro specifico sempre più intenso. Questo è il divenire, una folle lucidità che accompagna la vita dell’atleta. L’atleta fa questo giocando, un gioco serio dove mette tutto se stesso, nell’allenamento ed in gara.
Noi non siamo atleti, quantomeno nel significato professionale del termine, siamo sportivi e lo sport è soprattutto fair play, quindi soprattutto volersi bene, non può essere considerato una droga che per definizione è un qualcosa che agisce sullo stato di coscienza, altera la percezione, condiziona i comportamenti, crea una dipendenza fisica e/o psichica, ma è un’estensione del nostro modo di vivere. Certo, folli, ma lucidi, stanchi, ma felici, ultimi, ma soddisfatti, ma sempre e comunque consapevoli di ciò che siamo.
Cerco di spiegarmi: vedo il processo di allenamento come un qualcosa di veramente formativo, di veramente educativo, ci credo proprio, lo vedo come un qualcosa che alberga in noi, nell’uomo, più o meno sopito, ma che può essere un linguaggio di comunicazione universale, un po’ come la musica o il disegno, per intenderci; credo che possa essere una strada (una delle tante) per renderci migliori come persone.
Non sono le gare o le competizioni che “mettono alla prova” gli individui, ma il processo di allenamento che permette la partecipazione alle stesse che dimostra che tipo di persone siamo; l’atteggiamento di fronte ad un impegno costante e continuativo come l’allenamento è ciò che fa la differenza; non è la meta, ma il viaggio stesso che rende liberi, che rende vivi, che insegna, che permette di imparare. Ed è talmente bello il fatto di inserirlo a piacere nel nostro modo di vivere che non può essere considerato un bisogno (il bisogno richiama comunque alla dipendenza da qualcosa), diventa una parte modulabile del nostro essere, una parte a volte importante, a volte meno, ma sempre un qualcosa di gradevole, amabile, soddisfacente, un infuocato ossimoro, in fondo proprio come la vita stessa.
Lee Jun Fan, meglio conosciuto come Bruce Lee, filosofo, attore e artista marziale disse: “L’allenamento non opera su un oggetto, ma sullo spirito e sulle emozioni di un essere umano. Per agire su sfere così delicate occorrono intelligenza e discernimento”. Non amo le definizioni di allenamento, ma questa spiegazione di quanto complesso sia il processo che ne sta alla base mi trova terribilmente d’accordo; possiamo riassumerlo come una sequenza di risposte, le più personali possibili, ad una sequenza di domande. Domande che scavano in tutta l’unicità olistica dell’uomo. Non è un bisogno, non è una droga, è semplicemente una parte di ciò che siamo e, quindi, utile per migliorarci, un processo di crescita.
La nascita di una problematica come il sovrallenamento od overtraining la dice lunga su come, nel tempo, questo processo è stato mal interpretato: troppo allenamento, troppo allenamento fatto male, poco piacere nell’allenarsi, dipendenza dall’allenamento; una serie di aberrazioni nate dalla rincorsa del risultato a tutti i costi, da una forzatura di ciò che la natura e l’evoluzione ci hanno insegnato, da un superficiale studio dei testi scientifici riguardanti l’allenamento, dal considerare l’allenamento un mero processo scientifico, quando è invece un processo creativo che richiede fantasia ed entusiasmo oltre che conoscenza.
Non ci servono slogan e messaggi patinati, facilmente vendibili e poco funzionali, l’unica cosa veramente utile è la passione e la voglia di vivere, il cercare di volersi bene senza che l’opinione altrui possa condizionarci, l’aver voglia di impegnarsi in un qualcosa che piace per essere fieri di ciò che si ha costruito, costruire una sinergia di emozioni che non abbracci solo la sfera fisica, ma che coinvolga l’intero dell’uomo, corpo, mente, anima. E noi “allenatori”? Beh, noi dobbiamo impegnarci al massimo per diffondere questi concetti e, soprattutto, dobbiamo dare le basi per crescere e le ali per volare …
Buon allenamento.

SL.A.

Bibliografia e sitografia:
Allenamento Sportivo - Bellotti e Matteucci - Ed. Utet - 2004
Lo Sviluppo Atletico - Vern Gambetta - Ed. CalzettiMariucci - 2013
www.mymovies.it 

L'immagine è presa da: maldimaldive.blogspot.com
 

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