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sabato 30 luglio 2016

Natural Born Runners


NATURAL BORN RUNNERS

Corridori nati.
Un argomento che mi appartiene, potrei definirlo un mio “cavallo di battaglia”, lo studio da tempo ma ogni volta, come il primo giorno, mi appassiona e coinvolge.
In ambito scientifico se ne parla diffusamente da più di dieci anni: ( https://www.nature.com/articles/nature03052 ; http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/15549097 ; https://www.sciencedaily.com/releases/2004/11/041123163757.htm ), mi piace, ogni tanto, ricordarlo e, in punta di piedi (è proprio il caso di dirlo), condividerlo.
Pianeta Terra, oltre 400 specie viventi di scimmie, tutte dotate di mani, vista stereoscopica e con un cervello tendenzialmente grande; una di quelle 400 siamo noi: abbiamo perso un po’ di selvaggia fierezza, andiamo pazzi per gli zuccheri, per il sale, per i cibi grassi, ma tutto sommato siamo ancora adattati ad una dieta diversificata, ricca di frutta e verdura, semi, noci, tuberi e carne magra. Amiamo (crediamo di amare?) il riposo, ma i nostri corpi sono ancora quelli di atleti di resistenza, evoluti per camminare molti chilometri al giorno, per correre spesso (e volentieri), per trasportare e sollevare pesi, scavare e arrampicarsi.
Stiamo vivendo quella che possiamo definire “discordanza evolutiva”, il nostro DNA non è riuscito ad adeguarsi ai veloci mutamenti dell’ambiente in cui viviamo creando così una sorta di disadattamento, che si manifesta in una crescita dell’incidenza di malattie (particolarmente malattie metaboliche). Da una parte troviamo un impoverimento nutrizionale concomitante ad un deciso aumento energetico (si introduce più energia, ma meno nutrienti), dall’altra, invece, un minor consumo energetico, dettato da una minore tendenza al movimento, non permette un’adeguata “supercompensazione” di questa energia in eccesso.
In sintesi: mangiamo molto, ci nutriamo male, ci muoviamo poco … viene da se che l’auto-definizione “Homo Sapiens” potrebbe essere stata un po’ azzardata.
Chiusa parentesi.

Si parlava di corsa. Nati per correre, dicevamo.
Innegabile come, prendendo in prestito il titolo di un vecchio libro del mai dimenticato dott. Arcelli, “Correre è bello”: è il primo vero momento di libertà, la mano del genitore lascia la nostra e, dapprima un po’ insicuri, cominciamo a prendere velocità, a sentire l’aria sulla faccia, a ridere e gridare a squarciagola; pochi metri di collaudo, un assaggio ma sufficiente per diventare indimenticabile. E soprattutto irrinunciabile.
Basta sermoni.
Sono qui per fare un po’ di pubblicità.
Ho la presunzione di “insegnare a correre”. Ecco, l’ho detto, e molti cominceranno a storcere il naso, a soffocare risatine, a fare gesti di superiorità con la mano, quasi a scacciare una mosca fastidiosa. Lasciamoli fare.
Il mio “insegnare a correre” ha un significato profondo. L’obiettivo è ritrovare un collegamento unico con la parte sopita del proprio essere: correre per risvegliare l’ancestrale passione per il movimento, correre per assecondare i primitivi desideri del nostro corpo, correre per superare le difficoltà di adattamento di un organismo catapultato fuori dal suo tempo.
Ho chiamato tutto questo “Be Natural”, perché è semplicemente un tuffo in qualcosa che “Naturalmente” ci appartiene. Non mi interessano le competizioni di corsa, anzi, come dicevo prima il pianeta podismo mi è del tutto indifferente, quello che mi preme è invece aiutare a ritrovare una qualità di movimento che sia fluidità, che si armonia, che sia feeling, che siano sensazioni vecchie, ma dimenticate.

Correre per il piacere di farlo, non per il dovere.
Correre per trascendere il tempo, non per cronometrarlo.
Correre per essere liberi e non per sentirsi liberi.
La corsa non ha poteri magici, quantomeno non più (e neanche meno) di altre attività motorie. Non scarica tensioni emotive, non aiuta ad affrontare i problemi. Quello che cambia, durante la corsa o, più in generale, quando il nostro corpo si mette in moto, siamo noi. Il nostro essere “Homo” finalmente si risveglia, quel primordiale e selvaggio benessere riprende, anche se magari solo per poche decine di minuti, possesso del nostro organismo; torniamo ad essere una cosa sola con l’ambiente che ci circonda. L’ambiente non cambia. Cambiamo noi.
La nostra fisiologia, accompagna questa cambiamento: a livello nervoso, ormonale, vascolare, muscolare, osseo …
Riusciamo ad intravedere la portata di tutto questo?
È una porta spalancata verso la consapevolezza di sé. Il Movimento (la corsa, in questo caso), inteso come suprema arte di coinvolgimento PsicoNeuroEndocrinoImmunoOsteoMuscolare (potrei andare avanti), un cambio di paradigma: non è il movimento che cambia il mio modo di essere, sono io ad essere diverso quando mi muovo; non è solo semantica, ma la certezza di poter essere in grado di riprendere il potere su di sé, naturalmente. Natural Born Runners.
Affascinante, non trovate?
Terribilmente affascinante.
Questo è il nostro programma, unisce lavoro indoor a quello all’aperto, mira a costruire solidi presupposti sensoriali, sfrutta le potenzialità dei piedi non solamente come appendice del corpo al suolo, bensì come anello di una catena che, come abbiamo visto, lavora in modo più vasto, globale.

Siamo fondamentalmente energia (“la materia visibile è soltanto la miliardesima parte della realtà” C.Rubbia), un’energia che si muove, un’energia che corre.
Ecco: sentirete quell’energia. La vostra.
BeNatural!! Settembre 2016. Palestra StileLibero.
SL.A.

venerdì 15 luglio 2016

Homo

Homo
Il passo veloce serve a occultare la mia presenza. Sfioro, silenzioso, l’asfalto, cercando di confondermi con esso. Voglio diventare completamente invisibile. Inesistente.
I pensieri vorticano imprevedibili in una testa non ancora pronta a metterli in ordine; li archivio a casaccio, promettendomi di catalogarli in seguito, promessa che puntualmente non manterrò, costruendo così una sorta di confusionaria concentrazione che, allo stesso tempo, permette lucidità e ricerca, pensiero e introspezione.
L’uomo ha costruito la sua esistenza in un ambiente ostile, perché denso di pericoli, ma fortemente nutriente, sia dal punto di vista fisico, che spirituale. Il fondersi/confondersi con la natura ha fatto sì che per milioni di anni l’essere umano (Homo), fosse anche (ancora) animale a tutti gli effetti; molte le peculiarità, ma molti anche i lati in comune con gli altri abitanti del pianeta. Mi vedo Homo Ergaster correre libero ai margini della Gola di Olduvai
“la terra arsa pizzica i miei piedi, il sole è alto, ma sono abituato, il mio corpo muscoloso è ben addestrato alla caccia di persistenza, non mi stanco facilmente; fiuto l’aria ricca di vita, di energia, guardo l’orizzonte e quei colori misteriosi mi scuotono e mi rendono felice: urlo, di gioia, ma è un suono gutturale e selvaggio quello che esce dalla mia bocca”. Uomo e animale, insieme, ma entrambi liberi.
Ora muri di cemento chiudono i miei istinti.
Ora schermi multifunzione indeboliscono le mie membra, annebbiano la mia vista.
Ora rumori assordanti ottenebrano i miei pensieri.
La storia dell’uomo è quella delle sue conquiste.
La storia dell’uomo è l’allontanamento, lento e inesorabile, dalla condizione di animale.
La storia dell’uomo è la sua evoluzione e “evoluzione” non è sinonimo di miglioramento, anzi spesso è vero il contrario.
La storia dell’uomo è la storia di un’aberrazione, di uno sbaglio, quello che l’ha reso “umano”, terribilmente perfetto e terribilmente terribile.
La storia dell’uomo è prevaricazione, sopraffazione, prepotenza.
La storia dell’uomo è arroganza, “Sapiens” per volere divino.
Rimango convinto del fatto che per riuscire ad andare avanti, la nostra specie animale, dovrà fare parecchi passi indietro, con i sacrifici che questi comporteranno.
BeNatural!! Quanto più possibile.
SL.A.

Le immagini sono tratte da:




sabato 9 luglio 2016

Punta dell'iceberg


Punta dell’iceberg
La storia della punta dell’iceberg non può non rimanere impressa. Ho un ricordo quasi terrorizzato delle lezioni di scienze alle scuole elementari, dove il maestro, abile attore drammatico, descriveva queste montagne di ghiaccio galleggianti con ampi gesti delle braccia e, abbassando il capo con consumata esperienza teatrale, dichiarava alle nostre espressioni attonite e sconvolte: “quello che vediamo è solo il 10% della massa totale del blocco di ghiaccio, la punta dell’iceberg!!! … (pausa ad effetto), il vero pericolo è quello che rimane sommerso; la parte più grande e terribile, sotto la superficie dell’acqua …” e via a raccontare, come monito, la tragedia dell’inaffondabile Titanic, trita e ritrita, ma sempre ad effetto per menti spugnose come quelle dei bambini.
Ovviamente un qualcosa dall’impatto così devastante sull’immaginario collettivo non poteva non avere un seguito, “La punta dell’iceberg” diventa un modo di dire usato spesso nella quotidianità, dal significato facilmente intuibile: “ciò che risulta visibile di una situazione, spec. negativa, e che nasconde, pur lasciandoli intuire, aspetti ben più gravi e complessi; minima parte conosciuta di un avvenimento che, in realtà, è molto più vasto e importante” (dizionari.repubblica.it; dizionario.internazionale.it).

Iniziai a lavorare in palestra con l’arroganza aggressiva dei vent’anni (o poco più), consapevole ma inesperto, preparato ma acerbo; dall’esterno sembrava un gioco, dall’interno avevo una voglia matta di iniziare a giocare.
Punta dell’iceberg.
Ripenso, ogni tanto, ai gesti esagerati del maestro che, complice una rigidità della catena muscolare posteriore (ma a quei tempi non potevo saperlo), faticava a sollevare le braccia in alto e, quell’espressione greve che induriva il suo volto, non era (forse) dettata dalla smania di descrivere la pericolosità dell’enorme parte sommersa dell’iceberg, quanto, probabilmente, dalla difficoltà vera e propria nel compiere il movimento; ma non è la cosa più importante adesso, quello che conta è come avesse ragione.
Ho imparato nel tempo, a mie spese, come la parte visibile del mio lavoro non sia altro che una “misera” punta dell’iceberg; anzi se vogliamo essere precisi il mio lavoro, quello che si interfaccia con i clienti, con i loro desideri, con i loro problemi, le loro gioie e le loro delusioni è SOLO la punta dell’iceberg, una punta piccolissima, un 10% del totale, una piccola (ma allo stesso tempo grande, proprio come un iceberg) massa galleggiante che, sorridente, occulta la maggior parte di ciò che rappresenta occuparsi del movimento delle persone. Aggiornamento continuo, ricerca instancabile, confronto costante, innovazione perpetua … la vera massa dell’iceberg “Educazione Motoria” non si vede direttamente, ma deve essere percepita indirettamente, in modo che quella punta visibile, possa essere scambiata per un gioco.
Quando mi dicono: “come vorrei fare il tuo lavoro, è divertente è facile, è immediato …” sono gratificato perché la punta dell’iceberg è bella visibile, “galleggia” bene; significa che quello che sta sotto ha radici profonde (e potenzialmente potrebbe far affondare il Titanic!).
Su una cosa, però, il mio maestro a scuola aveva torto. La parte sommersa di questo iceberg è quella più affascinante, l’unico pericolo potrebbe essere quello di perdersi in essa, ammaliati dalla sete di conoscenza, dalla voglia di sapere, dalla smania di fare sempre meglio. Niente di terribile, niente sciagure ed affondamenti, ma solo tanto impegno, piacevole impegno.
Ecco come “Punta dell’iceberg” descrive alla perfezione ciò che faccio.
Non è solo un lavoro, non può essere svolto “così, tanto per fare qualcosa” e poi andare a dormire tranquilli, deve essere un modo di vivere, deve diventare una missione.
SL.A.
Le immagini sono tratte da:
www.cim-fema.it
it.wikipedia.org