Partirei dalla definizione di "epigenetica": storicamente si intende per epigenetica una qualunque attività di regolazione dei geni attraverso processi chimici che non comportino cambiamenti nel codice del DNA, ma possono modificare il fenotipo dell’individuo o della progenie. Questi fenomeni epigenetici alterano l’accessibilità fisica al genoma da parte di complessi molecolari deputati all’espressione genica e quindi alterano il funzionamento dei geni.
A oggi l’epigenetica viene definita come “lo studio delle modifiche ereditabili nella funzione del genoma che si verificano senza cambiamenti della sequenza di DNA” (www.psicoanalisi.it); si riferisce dunque ai cambiamenti che influenzano il fenotipo senza alterare il genotipo. (www.wikipedia.org).
Sappiamo come alla base delle malattie di oggi ci sia un profondo conflitto tra il nostro genoma e il mondo in cui ci troviamo a vivere. Questo è dovuto ad un fenomeno noto come discordanza evolutiva. in parole povere, quando l'ambiente in cui un essere vivente si trova cambia a velocità superiore rispetto alle capacità del DNA di adeguarsi ai mutamenti, l'organismo inizia a sviluppare un disadattamento che si manifesta in una crescita d'incidenza delle malattie. Questo è esattamente ciò che sta succedendo agli esseri umani. La flessibilità nell'adattarsi all'ambiente esterno potrebbe rivelarsi chiave determinante per il raggiungimento di un buono stato di salute; i sensi ci aiutano ad interagire con i segnali provenienti dal mondo che ci circonda, ma oggi parleremo di un altro canale di scambio altrettanto importante, il canale alimentare. Il cibo contiene "informazioni" provenienti dall'ambiente esterno in grado di modulare l'espressione genica, l'attività del sistema immunitario, il metabolismo.
Al di là di calorie, grassi, proteine e micronutrienti, abbiamo capito quindi che il cibo è un potente modulatore epigenetico vale a dire in grado di modificare la nostra espressione genica in meglio o in peggio.
I nostri geni determinano non solo il modo in cui elaboriamo il cibo ma ,è
questo è più importante, il modo in cui reagiamo agli alimenti che consumiamo. Facciamo un esempio concreto:
I nostri progenitori del neolitico consumavano minuscole quantità di grano e, quello che noi oggi chiamiamo così, somiglia ben poco alla varietà selvatica Monococco, conosciuta e consumata dai nostri antenati.
Con l'ibridazione moderna e la tecnologia di modificazioni genetiche non c'è alcuna somiglianza genetica, strutturale o chimica tra il nostro grano e ciò che avrebbero potuto incontrare quegli antichi cacciatori/raccoglitori; stiamo sfidando la nostra fisiologia con sempre più componenti ai quali non siamo geneticamente preparati.
Possiamo quindi cominciare a comprendere le dannose conseguenze delle nostre azioni e dei risultati delle nostre azioni, proprio sulla nostra pelle!
Niente panico bisogna solo mettersi in una posizione di potere che si ottiene prendendo consapevolezza che lo stile di vita eserciti una profonda influenza sulla salute: noi siamo il prodotto di un progetto ottimale, plasmati dalla natura nel corso di migliaia di generazioni; forse non ci definiamo più cacciatori/raccoglitori, ma senza dubbio, in una prospettiva biologica, i nostri corpi si comportano come tali.
Fondamentalmente ci siamo evoluti per reperire alimenti ad alto contenuto di grasso e di zucchero (il cervello in forte espansione necessitava di un costante rifornimenti energetico), il problema è che i nostri attuali sforzi per cacciare si concludono alla svelta, nelle moderne e rifornitissime giungle, i supermercati, dove troviamo in abbondanza zuccheri e grassi trasformati. I nostri antenati, invece, al massimo si imbattevano nel grasso di animali e nello zucchero naturale di piante e bacche, se era la stagione giusta. Capite bene come il nostro DNA, praticamente uguale a quello primitivo, si trovi nella situazione descritta prima di "discordanza evolutiva".
Nel corso dell'evoluzione i nostri corpi hanno messo a punto un modo brillante per trasformare il carburante ricavato dal cibo in energia a disposizione delle nostre cellule; il glucosio, la principale fonte di energia per la maggioranza delle cellule, scarseggiava per quasi l'intera esistenza della nostra specie spingendola quindi a sviluppare modi "alternativi" per immagazzinarlo, come convertire altre sostanze in glucosio: all'occorrenza, infatti, il corpo è in grado di sintetizzarlo da grassi e proteine attraverso un processo denominato gluconeogenesi che tuttavia richiede più energia della conversione di amidi e zucchero (derivati dagli alimenti) in glucosio, una reazione più semplice. Il processo mediante il quale le nostre cellule accettano e utilizzano il glucosio è complesso perché non si limitano ad assorbire il glucosio al suo passaggio nel flusso sanguigno, ma questa fondamentale molecola deve essere "autorizzata" ad entrare nella cellula dall'insulina, un ormone prodotto dal pancreas e che è una delle sostanze biologiche più importanti per il metabolismo cellulare: suo compito infatti traghettare glucosio dal circolo ematico alle cellule dei muscoli, fegato e adipe dove può essere stoccato e/o utilizzato come carburante.
Le cellule sane e normali sono caratterizzate da una elevata sensibilità recettoriale all'insulina, ma quando sono esposte senza sosta ad una continua assunzione di glucosio, allora le nostre cellule si adeguano riducendo sulla loro superficie il numero di tali recettori, quindi si desensibilizzano sviluppando una resistenza che le porta a ignorare l'insulina prodotta.
Il pancreas, controbatte e reagisce producendo insulina in grande quantità affinché lo zucchero possa entrare comunque nelle cellule (ricordiamo che un eccesso di zucchero in circolo è deleterio per l'organismo, il nostro corpo è dunque programmato per evitare ciò). Il risultato sarà quello di un'alta secrezione di insulina che provocherà un problema clinico denominato Insulino-Resistenza che alla fine potrebbe culminare in diabete di tipo due. In casi estremi si potrebbe verificare addirittura un "esaurimento" della capacità del pancreas di secernere questo ormone, con un aggravamento ulteriore della problematica e la necessità di introdurre insulina per via farmacologica.
L'eccesso di zucchero nel sangue (ricordiamo che mediamente, nel flusso sanguigno, ne circolano circa 2,3 grammi), dunque, causa molti problemi: può indurre cecità, infezioni, lesioni dei nervi, cardiopatie, Alzheimer; l'insulina non si limita a traghettare il glucosio nelle cellule ma è inoltre un ormone anabolico, ciò significa che stimola la crescita, promuove la formazione e la ritenzione del grasso e l'instaurarsi di infiammazione. Tutto questo instaura una cascata, altri ormoni possono risentire di elevati livelli di insulina aumentando o diminuendo a loro volta la loro concentrazione e limitando la capacità di recuperare il normale metabolismo.
Quindi possiamo affermare che un'alimentazione sbagliata, e per sbagliata intendiamo, evoluzionisticamente parlando, ricca di alimenti particolarmente densi di zucchero (abbiamo già fatto l'esempio dei cereali, tutti i dolci, le bibite ricche di sciroppi estratti dal mais, le bibite zuccherate ...) e che non fanno parte della storia ancestrale dell'uomo, possa costringere il corpo a sviluppare vie biologiche che portino ad un malfunzionamento e, in un secondo momento, anche a sviluppare importanti patologie.
Possiamo quindi introdurre il termine diabesità, ora in uso per descrivere una serie di squilibri metabolici che comprendono da una lieve insulinoresistenza, a un pre-diabete, fino ad un diabete conclamato.
Ciò che in assoluto è più difficile da accettare è che per un incredibile 90% di persone che presentano questi squilibri non si avrà alcuna diagnosi o, se si avrà, avverrà troppo tardi, quando i cambiamenti dello stile di vita non saranno più sufficienti per garantire un buono stato di salutee quindi, saranno messi a confronto con la loro situazione clinica quando sarà di gran lunga troppo tardi.
I nostri progenitori del neolitico consumavano minuscole quantità di grano e, quello che noi oggi chiamiamo così, somiglia ben poco alla varietà selvatica Monococco, conosciuta e consumata dai nostri antenati.
Con l'ibridazione moderna e la tecnologia di modificazioni genetiche non c'è alcuna somiglianza genetica, strutturale o chimica tra il nostro grano e ciò che avrebbero potuto incontrare quegli antichi cacciatori/raccoglitori; stiamo sfidando la nostra fisiologia con sempre più componenti ai quali non siamo geneticamente preparati.
Possiamo quindi cominciare a comprendere le dannose conseguenze delle nostre azioni e dei risultati delle nostre azioni, proprio sulla nostra pelle!
Niente panico bisogna solo mettersi in una posizione di potere che si ottiene prendendo consapevolezza che lo stile di vita eserciti una profonda influenza sulla salute: noi siamo il prodotto di un progetto ottimale, plasmati dalla natura nel corso di migliaia di generazioni; forse non ci definiamo più cacciatori/raccoglitori, ma senza dubbio, in una prospettiva biologica, i nostri corpi si comportano come tali.
Fondamentalmente ci siamo evoluti per reperire alimenti ad alto contenuto di grasso e di zucchero (il cervello in forte espansione necessitava di un costante rifornimenti energetico), il problema è che i nostri attuali sforzi per cacciare si concludono alla svelta, nelle moderne e rifornitissime giungle, i supermercati, dove troviamo in abbondanza zuccheri e grassi trasformati. I nostri antenati, invece, al massimo si imbattevano nel grasso di animali e nello zucchero naturale di piante e bacche, se era la stagione giusta. Capite bene come il nostro DNA, praticamente uguale a quello primitivo, si trovi nella situazione descritta prima di "discordanza evolutiva".
Nel corso dell'evoluzione i nostri corpi hanno messo a punto un modo brillante per trasformare il carburante ricavato dal cibo in energia a disposizione delle nostre cellule; il glucosio, la principale fonte di energia per la maggioranza delle cellule, scarseggiava per quasi l'intera esistenza della nostra specie spingendola quindi a sviluppare modi "alternativi" per immagazzinarlo, come convertire altre sostanze in glucosio: all'occorrenza, infatti, il corpo è in grado di sintetizzarlo da grassi e proteine attraverso un processo denominato gluconeogenesi che tuttavia richiede più energia della conversione di amidi e zucchero (derivati dagli alimenti) in glucosio, una reazione più semplice. Il processo mediante il quale le nostre cellule accettano e utilizzano il glucosio è complesso perché non si limitano ad assorbire il glucosio al suo passaggio nel flusso sanguigno, ma questa fondamentale molecola deve essere "autorizzata" ad entrare nella cellula dall'insulina, un ormone prodotto dal pancreas e che è una delle sostanze biologiche più importanti per il metabolismo cellulare: suo compito infatti traghettare glucosio dal circolo ematico alle cellule dei muscoli, fegato e adipe dove può essere stoccato e/o utilizzato come carburante.
Le cellule sane e normali sono caratterizzate da una elevata sensibilità recettoriale all'insulina, ma quando sono esposte senza sosta ad una continua assunzione di glucosio, allora le nostre cellule si adeguano riducendo sulla loro superficie il numero di tali recettori, quindi si desensibilizzano sviluppando una resistenza che le porta a ignorare l'insulina prodotta.
Il pancreas, controbatte e reagisce producendo insulina in grande quantità affinché lo zucchero possa entrare comunque nelle cellule (ricordiamo che un eccesso di zucchero in circolo è deleterio per l'organismo, il nostro corpo è dunque programmato per evitare ciò). Il risultato sarà quello di un'alta secrezione di insulina che provocherà un problema clinico denominato Insulino-Resistenza che alla fine potrebbe culminare in diabete di tipo due. In casi estremi si potrebbe verificare addirittura un "esaurimento" della capacità del pancreas di secernere questo ormone, con un aggravamento ulteriore della problematica e la necessità di introdurre insulina per via farmacologica.
L'eccesso di zucchero nel sangue (ricordiamo che mediamente, nel flusso sanguigno, ne circolano circa 2,3 grammi), dunque, causa molti problemi: può indurre cecità, infezioni, lesioni dei nervi, cardiopatie, Alzheimer; l'insulina non si limita a traghettare il glucosio nelle cellule ma è inoltre un ormone anabolico, ciò significa che stimola la crescita, promuove la formazione e la ritenzione del grasso e l'instaurarsi di infiammazione. Tutto questo instaura una cascata, altri ormoni possono risentire di elevati livelli di insulina aumentando o diminuendo a loro volta la loro concentrazione e limitando la capacità di recuperare il normale metabolismo.
Quindi possiamo affermare che un'alimentazione sbagliata, e per sbagliata intendiamo, evoluzionisticamente parlando, ricca di alimenti particolarmente densi di zucchero (abbiamo già fatto l'esempio dei cereali, tutti i dolci, le bibite ricche di sciroppi estratti dal mais, le bibite zuccherate ...) e che non fanno parte della storia ancestrale dell'uomo, possa costringere il corpo a sviluppare vie biologiche che portino ad un malfunzionamento e, in un secondo momento, anche a sviluppare importanti patologie.
Possiamo quindi introdurre il termine diabesità, ora in uso per descrivere una serie di squilibri metabolici che comprendono da una lieve insulinoresistenza, a un pre-diabete, fino ad un diabete conclamato.
Ciò che in assoluto è più difficile da accettare è che per un incredibile 90% di persone che presentano questi squilibri non si avrà alcuna diagnosi o, se si avrà, avverrà troppo tardi, quando i cambiamenti dello stile di vita non saranno più sufficienti per garantire un buono stato di salutee quindi, saranno messi a confronto con la loro situazione clinica quando sarà di gran lunga troppo tardi.
Cambiare è possibile. Ricordiamocelo.
SL.A.
Fonti consultate:
Mangia che ti passa - Filippo Ongaro - Edizioni Piemme 2011
Appunti Lezioni SANIS - Scuola di nutrizione ed integrazione nello sport - I°anno - 2014/15
In difesa del cibo - Michael Pollan - Adelphi Edizioni - 2009
Immagine tratta da: www.bbc.co.uk
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