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giovedì 18 giugno 2015

Analfabetismo motorio





ANALFABETISMO MOTORIO

Alcuni anni fa partecipai ad un progetto partorito dalle mai, purtroppo,  troppo poco feconde menti del Ministero dell’Università Istruzione e Ricerca (MIUR) e del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI); già prese da sole queste “entità” provocano dei disastri, in coppia vi lascio immaginare. Il nome altisonante dato a questo, forse annunciato, ennesimo fiasco era: “Alfabetizzazione Motoria”, sulla carta un’iniziativa volta a proporre l’insegnamento dell’educazione motoria nella scuola primaria ad esclusivo carico dei professionisti del movimento, i laureati in Scienze Motorie e/o diplomati ISEF. Squilli di tromba e standing ovation!!!!
Fino a qui tutto sembra particolarmente entusiasmante, una rivoluzione culturale, un cambio di paradigma, una svolta epocale. Nel giro di pochi mesi tutte le pecche dell’accordo MIUR/CONI vengono a galla: programmazione, strutture, materiali, formazione,  pagamenti, collaborazioni con gli insegnanti … noi primi Garibaldini, solo perché eravamo 1000 in tutta Italia, ma niente, ahimè,  di rivoluzionario, anche se forse avremmo voluto essere i condottieri di una vera riscossa motoria, comunque noi, primi tester di questo folle esperimento, abbiamo cercato e, probabilmente siamo anche riusciti, quantomeno nella maggior parte dei casi, a far funzionare il tutto. Sulla nostra pelle. Sulla pelle dei professionisti del Movimento, ma soprattutto sulla pelle degli individui verso cui questo movimento professionale era indirizzato, i bambini  delle scuole aderenti al progetto. Immagino che il lettore non troverà strano sapere che, dopo i tre anni “preparatori”, appena prima del lancio ufficiale, il tutto naufraga miseramente.
Ragioniamo: un progetto viene denominato “Alfabetizzazione Motoria”, credo voglia significare che, nonostante la pochezza corticale delle entità organizzative (ripeto, MIUR e CONI), ci sia un globale accordo sull’ignoranza motoria che affligge la nostra epoca; ci si muove poco e quel poco è fatto male; spesso, quando ci si muove molto (i vari esempi di compulsione al movimento e di iperallenamento sfrenato), quel molto è fatto male pure lui!!!! Quindi di cosa parlare se non di Analfabetismo Motorio?
Analfabeta è colui che è completamente incapace di leggere e scrivere, l’analfabeta motorio è colui che è completamente incapace di muoversi? Beh, non in questi termini. Completamente incapace di muoversi in maniera corretta, di sfruttare il proprio potenziale motorio, di utilizzare in maniera funzionale la propria (innata) maestria al movimento; ma è anche colui che il movimento lo insegna (o si illude di insegnarlo), colui che si affida al video di you tube per imparare gli esercizi, colui che scopiazza le tabelle dalla rete, colui che esegue solo ciò che una moda, mai come ora sempre più passeggera, detta. L’analfabeta motorio è la presunzione del nostro tempo di avere tutto e subito, di sacrificare quanto di buono la natura ci ha donato per un ideale estetico, di appartenenza, di visibilità, un ideale “social”, insomma, un ideale involutivo e non evolutivo.
Dove vogliamo arrivare? Per costruire un palazzo ci vogliono le fondamenta; la vedo dura partire dal tetto. Per costruire l’Alfabetizzazione Motoria è la stessa cosa. Bisogna partire dal basso, dall’alfabeto appunto, dalla costruzione di un movimento che sia veramente specchio dell’individuo che lo pratica, un movimento funzionale all’individuo che lo pratica e non solo ai suoi obiettivi/desideri, un movimento professionalizzato insegnato da professionisti e non necessariamente ciò che segue la tendenza, ciò che entusiasma le folle, che porta i "like", ciò che viene praticato per poter piacere agli altri (magari non essendo soddisfatti di sé). Negli ultimi anni si è assistito all’esplosione del “Running”, inteso proprio come senso di appartenenza, come network aggregante, quasi una setta ; le regole per appartenervi? Correre. Sempre e comunque, senza curarsi di essere in grado di farlo, senza preoccuparsi di sviluppare, parallelamente, altre qualità e caratteristiche motorie necessarie, senza pensare a piccoli acciacchi od infortuni, senza, minimamente, ascoltare il proprio corpo. Solo e sempre correre. Così si incontrano, ad ogni ora del giorno o della notte, squadre di zombi caracollanti che, ignari dei danni che si stanno procurando, macinano chilometri, partecipano a maratone (gli sfigati) o ultramaratone (i fighi), avvolti in metri quadri di tape (mummie), spesso auto-applicati, magari seguendo le indicazioni di un video. Probabilmente passerà anche questa, adesso mi sembra, infatti, di vedere parecchi neo- triatleti (stranamente tutti con la pancia …), siamo quindi pronti per l’IronMan? 
In palestra il discorso cambia poco. Diverse discipline, ma lo scenario è sempre quello. Nella mia ormai lunga esperienza (20 anni che mi occupo di attività motoria), le ho viste quasi tutte: body building, aerobica stellare, step coreografico, pump, funky, zumba, pilates, fitboxe, spinning, cavolo, vi ricordate quando aprivano palestre che facevano solo spinning? Sembrava di aver trovato il Santo Graal: Centro Spinning Certificato Schwinn, bastavano queste parole sulla serranda di un garage, dieci bike scricchiolanti e chiunque poteva insegnare. Insegnare, ci rendiamo conto? E poi come è nato, anche lui, il mitico spinning è finito nell’oblio. Come tutto il resto, con tutto il resto, o quasi. Qualche lezioncina qua o là, in palestre nostalgiche c’è ancora qualcuno che si atteggia a master trainer (loro si che erano fighi, con quell’aura di onnipotenza, gli sciamani del fitness, unti della conoscenza), tutti nell’attesa che la fiera del fitness proponga qualche novità da seguire pedestremente, rinnegando tutto quello fatto prima; con un corso “abilitante” all’insegnamento di mezza giornata in un attimo si diventa tutti maestri; tutto e subito.
Capre.
Intanto adesso c’è CrossFit e tutte le aberrazioni nate da questo nome.  E interessa poco se i movimenti e l’esecuzione degli stessi fanno un po’ schifo, se per caratteristiche antropometriche, posturali e metaboliche non tutti riescono ad eseguirli correttamente!!! Ma avete visto che fisicate dalla mascella squadrata (tanti piccoli, o grandi Ridge, uomini e donne, indistintamente) hanno i crossfitter a stelle e strisce? Quello è ciò che conta!!! Così, mentre i vari reparti di ortopedia si riempiono così come si riempono i parchi cittadini, dove novelli Jury Checy si esibiscono, la “ginnastica” (termine ormai in disuso, anche se etimologicamente richiama all’”Arte degli esercizi fisici”), quella insegnata con professionalità, quella individualizzata, personalizzata, programmata, disegnata sulle persone, con le persone perde un po’ il suo appeal. O forse non lo ha mai avuto. Dai ragazzi. Passerà anche questo. Come tutte le altre mode, vivrà il suo momento fiammeggiante fino a spegnersi lentamente, chi sarà in grado prenderà ciò che di buono effettivamente c’è e ne farà tesoro.
Quella che non deve passare mai è la moda della professionalità, la moda dello studio, la moda di costruire programmi di allenamento che siano veramente alfabetizzanti. I risultati che cerco quando lavoro con una persona sono esattamente questi, rendere abili al movimento, far si che innanzi tutto siano l’armonia e la semplicità di un corpo che si muove a dettare le regole del movimento stesso. Della performance mi interessa poco, mi interesso poco, perché sono assolutamente convinto che se il lavoro è stato fatto bene, i risultati cercati, siano essi estetici, prestativi, funzionali o di salute, verranno fuori come un graditissimo effetto collaterale del piacere di sentire il proprio corpo vivo. Perché un corpo che si muove è un corpo vivo. Finalmente, veramente alfabetizzato.
Il resto è noia e francamente ci ha annoiato.
BeNatural.
SL.A.

L'immagine è tratta da alfabetizzazionemotoria.it

sabato 6 giugno 2015

Il cibo, un potente modulatore epigenetico




Partirei dalla definizione di "epigenetica": storicamente si intende per epigenetica una qualunque attività di regolazione dei geni attraverso processi chimici che non comportino cambiamenti nel codice del DNA, ma possono  modificare il fenotipo dell’individuo o della progenie. Questi fenomeni epigenetici alterano l’accessibilità fisica al genoma da parte di complessi molecolari deputati all’espressione genica e quindi alterano il funzionamento dei geni.
A oggi l’epigenetica viene definita come “lo studio delle  modifiche ereditabili nella funzione del genoma che si verificano senza cambiamenti della sequenza di DNA” (www.psicoanalisi.it); si riferisce dunque ai cambiamenti che influenzano il fenotipo senza alterare il genotipo. (www.wikipedia.org).


Sappiamo come alla base delle malattie di oggi ci sia un profondo conflitto tra il nostro genoma e il mondo in cui ci troviamo a vivere. Questo è dovuto ad un fenomeno noto come discordanza evolutiva. in parole povere, quando l'ambiente in cui un essere vivente si trova cambia a velocità superiore rispetto alle capacità del DNA di adeguarsi ai mutamenti, l'organismo inizia a sviluppare un disadattamento che si manifesta in una crescita d'incidenza delle malattie. Questo è esattamente ciò che sta succedendo agli esseri umani. La flessibilità nell'adattarsi all'ambiente esterno potrebbe rivelarsi chiave determinante per il raggiungimento di un buono stato di salute; i sensi ci aiutano ad interagire con i segnali provenienti dal mondo che ci circonda, ma oggi parleremo di un altro canale di scambio altrettanto importante, il canale alimentare. Il cibo contiene "informazioni" provenienti dall'ambiente esterno in grado di modulare l'espressione genica, l'attività del sistema immunitario, il metabolismo.
Al di là di calorie, grassi, proteine e micronutrienti, abbiamo capito quindi che il cibo è un potente modulatore epigenetico vale a dire in grado di modificare la nostra espressione genica in meglio o in peggio.
I nostri geni determinano non solo il modo in cui elaboriamo il cibo ma ,è questo è più importante, il modo in cui reagiamo agli alimenti che consumiamo. Facciamo un esempio concreto:
I nostri progenitori del neolitico consumavano minuscole quantità di grano e, quello che noi oggi chiamiamo così, somiglia ben poco alla varietà selvatica Monococco, conosciuta e consumata dai nostri antenati.
Con l'ibridazione moderna e la tecnologia di modificazioni genetiche non c'è alcuna somiglianza genetica, strutturale o chimica tra  il nostro grano e ciò che avrebbero potuto incontrare quegli antichi cacciatori/raccoglitori; stiamo sfidando la nostra fisiologia con sempre più componenti ai quali non siamo geneticamente preparati.
Possiamo quindi cominciare a comprendere le dannose conseguenze delle nostre azioni e dei risultati delle nostre azioni, proprio sulla nostra pelle!
Niente panico bisogna solo mettersi in una posizione di potere che si ottiene prendendo consapevolezza che lo stile di vita eserciti una profonda influenza sulla salute: noi siamo il prodotto di un progetto ottimale, plasmati dalla natura nel corso di migliaia di generazioni; forse non ci definiamo più cacciatori/raccoglitori, ma senza dubbio, in una prospettiva biologica, i nostri corpi si comportano come tali.
Fondamentalmente ci siamo evoluti per reperire alimenti ad alto contenuto di grasso e di zucchero (il cervello in forte espansione necessitava di un costante rifornimenti energetico), il problema è che i nostri attuali sforzi per cacciare si concludono alla svelta, nelle moderne e rifornitissime giungle, i supermercati, dove troviamo in abbondanza zuccheri e grassi trasformati. I nostri antenati, invece, al massimo si imbattevano nel grasso di animali e nello zucchero naturale di piante e bacche, se era la stagione giusta. Capite bene come il nostro DNA, praticamente uguale a quello primitivo, si trovi nella situazione descritta prima di "discordanza evolutiva".
Nel corso dell'evoluzione i nostri corpi hanno messo a punto un modo brillante per trasformare il carburante ricavato dal cibo in energia a disposizione delle nostre cellule; il glucosio, la principale fonte di energia per la maggioranza delle cellule, scarseggiava  per quasi l'intera esistenza della nostra specie spingendola quindi a sviluppare modi "alternativi" per immagazzinarlo, come convertire altre sostanze in glucosio: all'occorrenza, infatti, il corpo è in grado di sintetizzarlo da grassi e proteine attraverso un processo denominato gluconeogenesi che tuttavia richiede più energia della conversione di amidi e zucchero (derivati dagli alimenti) in glucosio, una reazione più semplice. Il processo mediante il quale le nostre cellule accettano e utilizzano il glucosio è complesso perché non si limitano ad assorbire il glucosio al suo passaggio nel flusso sanguigno, ma questa fondamentale molecola deve essere "autorizzata" ad entrare nella cellula dall'insulina, un ormone prodotto dal pancreas e che è una delle sostanze biologiche più importanti per il metabolismo cellulare: suo compito infatti traghettare glucosio dal circolo ematico alle cellule dei muscoli, fegato e adipe dove può essere stoccato e/o utilizzato come carburante. 
Le cellule sane e normali sono caratterizzate da una elevata sensibilità recettoriale all'insulina, ma quando sono esposte senza sosta ad una continua assunzione di glucosio, allora le nostre cellule si adeguano riducendo sulla loro superficie il numero di tali recettori, quindi si desensibilizzano sviluppando una  resistenza che le porta a ignorare l'insulina prodotta.
Il pancreas, controbatte e reagisce producendo insulina in grande quantità affinché lo zucchero possa entrare comunque nelle cellule (ricordiamo che un eccesso di zucchero in circolo è deleterio per l'organismo, il nostro corpo è dunque programmato per evitare ciò). Il risultato sarà quello di un'alta secrezione di insulina che provocherà un problema clinico denominato Insulino-Resistenza che alla fine potrebbe culminare in diabete di tipo due. In casi estremi si potrebbe verificare addirittura un "esaurimento" della capacità del pancreas di secernere questo ormone, con un aggravamento ulteriore della problematica e la necessità di introdurre insulina per via farmacologica.
L'eccesso di zucchero nel sangue (ricordiamo che mediamente, nel flusso sanguigno, ne circolano circa 2,3 grammi), dunque, causa molti problemi: può indurre cecità, infezioni, lesioni dei nervi, cardiopatie, Alzheimer; l'insulina non si limita a traghettare il glucosio nelle cellule ma è inoltre un ormone anabolico, ciò significa che stimola la crescita, promuove la formazione e la ritenzione del grasso e l'instaurarsi di infiammazione. Tutto questo instaura una cascata, altri ormoni possono risentire di elevati livelli di insulina aumentando o diminuendo a loro volta la loro concentrazione e limitando la capacità di recuperare il normale metabolismo.
Quindi possiamo affermare che un'alimentazione sbagliata, e per sbagliata intendiamo, evoluzionisticamente parlando, ricca di alimenti particolarmente densi di zucchero (abbiamo già fatto l'esempio dei cereali, tutti i dolci, le bibite ricche di sciroppi estratti dal mais, le bibite zuccherate ...) e che non fanno parte della storia ancestrale dell'uomo, possa costringere il corpo a sviluppare vie biologiche che portino ad un malfunzionamento e, in un secondo momento, anche a sviluppare importanti patologie.
Possiamo quindi introdurre il termine diabesità, ora in uso per descrivere una serie di squilibri metabolici che comprendono da una lieve insulinoresistenza, a un pre-diabete, fino ad un diabete conclamato.
Ciò che in assoluto è più difficile da accettare è che per un incredibile 90% di persone che presentano questi squilibri non si avrà alcuna diagnosi o, se si avrà, avverrà troppo tardi, quando i cambiamenti dello stile di vita non saranno più sufficienti per garantire un buono stato di salutee quindi, saranno messi a confronto con la loro situazione clinica quando sarà di gran lunga troppo tardi.

Cambiare è possibile. Ricordiamocelo.
SL.A. 

Fonti consultate:

Mangia che ti passa - Filippo Ongaro - Edizioni Piemme 2011
Appunti Lezioni SANIS - Scuola di nutrizione ed integrazione nello sport - I°anno - 2014/15
In difesa del cibo - Michael Pollan - Adelphi Edizioni - 2009
Immagine tratta da: www.bbc.co.uk



martedì 2 giugno 2015

Allenamento a digiuno





ALLENAMENTO A DIGIUNO

Sono quasi vent'anni che mi occupo di attività fisica, una vita che la pratico. Ho sempre imparato a non fidarmi delle "leggende" da palestra o da campo, di quelle storie, quasi mitiche, che raccontate negli spogliatoi o nelle docce, prendono contorni quasi epici, rendendo l'Omero (inteso come il cantore greco, personaggio storicamente indicato come autore di Iliade ed Odissea, e non come l'osso del braccio propriamente detto) di turno l'ammirato possessore di tutte le verità.
Una di queste leggende è quella fantomatica dell'allenamento a digiuno come panacea di tutti i mali e, soprattutto, come dimagrante per eccellenza. C'è chi lo pratica sempre, chi mai, chi dopo aver mangiato (!!!!! ho sentito anche questa), chi a digiuno ed insonne ... ce n'è per tutti i gusti. E noi cosa ne pensiamo?



Il metodo consiste nell’abituare l’organismo a lavorare in carenza di glicogeno (la forma di deposito dello zucchero nel nostro corpo), in pratica si cerca di abituare la propria “macchina metabolica” a funzionare anche quando la benzina di preferenza,  lo zucchero appunto, scarseggia, attingendo in maniera più importante alle scorte di grassi; a sviluppare dunque quella che da alcuni autori viene definita “Potenza Lipidica”.

Facciamo un piccolo passo indietro: lo zucchero viene depositato nell’organismo in due siti di elezione, fegato e muscoli, rispettivamente circa 80/100 g e 300/400 g. Quindi si hanno a disposizione circa 1600 kcal facilmente spendibili (100 g epatici * 4 kcal/g di energia prodotta dallo zucchero + 300 g muscolari *4 kcal/g di energia prodotta dallo zucchero --> 1600 kcal, come esempio di massima, approssimabile al reale) in depositi facilmente svuotabili. Le riserve di grasso sono, invece, pressoché illimitate (basti pensare che un individuo di 70 kg, con il 10% di grasso corporeo, quindi molto magro, dispone di circa 7 kg di grasso; mettiamo che sia tutto utilizzabile (non è proprio così, ma rende l'idea), sono circa 63000 kcal !!!!!).

La conclusione di questo piccolo ragionamento qual è? Nelle competizioni di lunga distanza, per esempio, dove c’è bisogno di parecchia energia, più riusciamo ad avere una miscela di carburante che coinvolga prepotentemente i grassi, più sarà semplice arrivare in fondo senza “traumi”. (Non è mai un solo carburante, è sempre una mescolanza, tanto più si va veloce, vicino al max, tanto più interverranno gli zuccheri, tanto più si rallenta, vicino alla condizione di riposo, tanto più la miscela sarà spinta verso il consumo di grassi; parlando in % e non in valore assoluto).

Quindi la “Potenza Lipidica” è essenzialmente la capacità dell’organismo di consumare i grassi (meglio, utilizzarli a scopo energetico, trasformarli in “movimento”) nell’unità di tempo.

Uno dei metodi per allenare questa capacità è il Training a Digiuno. Non è un metodo “dimagrante”, come le leggende insegnano, abitua essenzialmente l’organismo a reagire ad una forma di stress, attingendo a diverse vie metaboliche per “produrre” energia.

Caratteristiche:

E’ un forte stress per l’organismo, comporta la necessità di un maggiore apporto di ossigeno per trasformare in energia i grassi utilizzati --> più fatica, battiti più elevati, gambe pesanti.

E’ un allenamento che, se svolto al mattino, inizia il giorno prima. La cena precedente deve essere leggera e ipoglicidica, per esempio porzione proteica standard, un frutto e qualche seme oleoso; deve essere consumata piuttosto presto in modo da far trascorrere un po’ di tempo dal pasto all’allenamento.

Dal mio punto di vista sono elitari gli allenamenti che, in una visione evolutiva dell’uomo, rimandano alla caccia (particolarmente alla caccia di persistenza); mi spiego con un esempio: un allenamento a digiuno svolto in maniera blanda a ritmo basso, è senz’altro una buona abitudine, ma dove finisce lo stress organico? E quello ormonale? Immaginiamo di essere nel paleolitico, svegliarci affamati (perché è così che succedeva) e seguire le tracce di un branco di "cervi preistorici". C’è tensione e l’attenzione dell’inseguimento, gli scatti per non perdere le tracce, il dover sfuggire da altri predatori, lo sfiancare la preda con un perseverare alla caccia. Tutto questo può essere riassunto con un allenamento che se utilizziamo come esempio la corsa, può essere declinato con una corsa a ritmo medio basso, dove vengono inseriti degli scatti ad intensità molto elevata di (diciamo a sensazione, sia come intensità che come durata) con recupero al ritmo lento di partenza. Un esempio?  10 – 15’ a ritmo progressivamente più elevato, 4-5 scatti  a ritmo molto elevato intervallati da recuperi più o meno equivalenti come tempo, altri 10 – 15’ a ritmo medio, con qualche piccola variazione (10 – 15’’) a ritmo più forte. La durata non supera mai i 45 – 50’, la resa è sicura.

Non è un tipo di allenamento per tutti. Soprattutto per chi inizia.

Valutare:

·         Se abbiamo maturato sufficiente quantità di allenamento per provarci.

·         Se siamo in perfette condizioni fisiche.

·         Se stiamo applicando l’indispensabile gradualità richiesta.

·         Se siamo in grado di leggere e ascoltare eventuali segnali negativi provenienti dal nostro corpo.

E’ un lavoro che non può essere improvvisato.

Generalmente viene svolto al mattino, ma non è obbligatorio, se faccio la mia bella colazione, a pranzo solo una insalata e un alimento proteico e vado poi a correre alle 18, le cose non cambiano troppo (ci sono differenze a livello di secrezione ormonale "circadiana", ma possiamo, per ora, non considerarle).

Usate la testa, non abbiate fretta e, soprattutto, imparate cosa è meglio per voi, ascoltandovi.
SL.A.

Fonti consultate:

La storia del corpo umano, Evoluzione, salute e malattia - Daniel E. Lieberman - Codice edizioni 2014
Fisiologia umana - Alloatti et. Al. - Edi Ermes 2002
L'UltraMaratona, Allenamento, Alimentazione, Aspetti Mentali - Luca Speciani - Ed. Correre 2006
Immagine tratta da besport.org