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sabato 9 settembre 2017

Teoria, tecnica e didattica della corsa


- LA CORSA E IL SUO ALLENAMENTO -

Qual è la nostra proposta a riguardo? Come impostiamo una preparazione atletica per migliorare in questa disciplina sportiva dalle mille facce, dalla grande immediatezza esecutiva, ma dalla terribile difficoltà tecnica? Siamo sicuri che basti qualche riga scribacchiata su un foglio e qualche consiglio sui ritmi da tenere?
Buona lettura.

 
>TEORIA, TECNICA E DIDATTICA DELLA CORSA<
La definizione “preparatore atletico” non mi appartiene, anzi la considero un grosso limite; la uso, a volte, per comodità: è facilmente comprensibile pur donando un’idea molto vaga di ciò che propongo.
Facciamo chiarezza.
Nell’immaginario collettivo (e  ricordo che stiamo parlando di corsa) il preparatore atletico è “quello che fa le tabelle”, l’individuo avvolto da un’aura di sacralità che, con sciamanici poteri, rende ogni brocco tapascione un campione da speranza olimpica. “Quest’anno mi affido ad un preparatore”, una delle frasi più gettonate dal podista della domenica di turno che, con consumata esperienza, lascia intravedere dal telefono il testo di una mail dove, con tanto di elenchi puntati, sono snocciolati gli allenamenti da seguire, in biblico ordine, come le tavole della legge.
No, decisamente non fa per me.
Non nego di dover lavorare in questo modo (tabelle via mail) qualche volta, un po’ perché a molte persone va bene così, un po’ perché alcuni hanno timore di affidarsi e preferiscono una gestione più lasca, in modo da poter “interpretare” le tabelle a piacimento (“hai scritto 10 km, ma mi sentivo e ne ho fatti 20 …”), a volte per oggettiva distanza “di vita”, spesso perché si ha paura di uscire dalla propria zona di confort e il confronto diretto, vis a vis, quasi quotidiano con una persona che mira a mandarti in crisi (quello è l’allenamento in parole povere, mandare in crisi il “sistema” dell’allenato perché questo possa reagire e consolidarsi ad un livello superiore), può essere spaventevole.
Ogni tanto, però, qualche temerario lo trovo anch’ io; qualcuno che armato di coraggio, pazienza, ma soprattutto voglia di mettersi in gioco, di scoperta e di confronto, decide di scegliere la strada meno immediata, meno semplice e si butta con fiducia. In questi casi si può organizzare veramente un gran bel lavoro, che sia soddisfazione per entrambi gli attori di questo dialogo, perché una vera preparazione atletica non è mai una recita del singolo, l’allenatore, bensì un dibattito continuo.
Il mio concetto di preparazione atletica risente del mio vissuto, personale e di studio, quindi la performance sportiva, il risultato, rimane sempre un paio di gradini sotto rispetto alla salute dell’atleta, alla sua funzionalità rispetto al quotidiano, alla sua serenità globale, con se stesso, con gli altri.
Il lavoro che propongo ricalca proprio il titolo di questo mio post: si parte dalla teoria, cos’è la corsa, perché si corre, come farlo in maniera efficiente, se ed eventualmente quali scarpe usare; da qui si sfuma, ma l’avevate intuito, nella tecnica, prima in generale e, successivamente, quella più adatta a chi sto allenando. Non siamo tutti uguali, perché dunque dovremmo correre tutti allo stesso modo? Ovviamente qui si parte con la didattica, il lavoro: sul campo (corsa, camminata, bici, andature atletiche … quello che serve), in palestra (respirazione, potenziamento, uso dei piedi, postura, mobilità, propriocezione, forza … quello che serve) e “nella testa”, un delicato approccio all’allenamento mentale (rilassamento, motivazione … quello che serve).
Spesso si effettua un vero e proprio un reset motorio dell’atleta, cerco di valorizzare i punti che ritengo funzionali e svalutare gli schemi motori inutili ed inefficaci, trovando un compromesso accettabile tra “l’ideale teorico” e “l’ideale pratico”, per rispettare, e non smetto di sottolinearlo, il primo punto di cui sopra <il risultato è sempre in secondo piano rispetto alla salute>.
Questa per me è la “preparazione atletica”: mettersi in discussione continuamente, adattare il lavoro ogni volta in un vero e proprio processo in divenire, un viaggio difficile perché l’atleta deve rinunciare alle sue sicurezze per tuffarsi nell’ignoto e, “il preparatore”, deve trasformarsi in un abile salvagente, non solo un mero compositore di tabelle; l’obiettivo finale è sempre quello di crescere insieme.
Si può provare, vi serve solo una caratteristica, ma è irrinunciabile: la curiosità.
Un professore universitario andò a far visita al maestro Nan-in per interrogarlo a proposito dello Zen. Ma invece di ascoltare il maestro, lo studioso continuava a esporre le sue idee personali. Dopo averlo ascoltato per un pò di tempo, Nan-in servì il tè. Dopo aver riempito la tazza del visitatore, continuò a versare. Il tè traboccò dalla tazza, riempì il piattino e colò sui pantaloni dell'uomo finendo sul pavimento. "Non vedi che la tazza è colma?" Esplose il professore. "Non ce ne sta più!".
"Proprio così", replicò tranquillamente Nan-in. "E come questa tazza, tu sei colmo delle tue idee e opinioni personali. Come posso mostrarti lo Zen se prima non svuoti la tua tazza?".  (Racconto Zen)


SL.A.

Il racconto Zen è tratto da:
101 Storie Zen" a cura di Nyogen Senzaki e Paul Reps, Adelphi Edizioni, Milano, 1973
Le immagini sono tratte da:

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